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Bye 2023: welcome 2024

Bye 2023: welcome 2024. Salutare un anno difficile in amicizia e lentezza, in modo semplice e puro,  come i quaderni dei bambini dove ci sono tanti colori e poche domande.
Ripercorrere l’anno trascorso non insistendo troppo sui nodi ancora da sciogliere, sulle ferite che ha lasciato, profonde e tangibili, ma tesa all’anno che verrà in modo che solo il 2024 possa parlare.
Semplificare. La mia parola dell’anno.
Il facile è difficilissimo. Il semplice è complicatissimo.
Semplificare, vuol dire anche aggiungere leggerezza.

Bye 2023: welcome 2024

Ecco, mi merito un 2024 come ho voltato le spalle al 2023: in leggerezza, cavalcando uno tsunami di cambia-menti positivi!
Semplice, ma non vuota.
Magari in tre…, come stasera.
Gli amici di sempre e quello ritrovato, nel tempo, ma che non sbaglia mai un clic con le sue fotografie.
La colazione del 31 con una donna dal cuore puro e la corsa bizzarra per portarle qualcosa di buono per lei.
Gli sms che rimandi sempre e poi recuperi il giusto tempo per inviarli, ma col cuore.
Capodanno 2024

Capodanno

Ho chiuso il 2023 dandomi tanto valore e arrivando ad interrompere del tutto una sfida lavorativa per iniziarne un’altra a giorni.
E poi quel messaggio di auguri da lontano, ma con un carico di emozioni tra presente e futuro.
Le video chiamate da Modena.
I messaggi vocali, sempre presenti e costanti, che mi hanno accompagnata, giorno dopo giorno, in un percorso iniziato in un tardo e turbolento 2023 che merita, davvero, di continuare, fino in fondo.
La prima telefonata dell’anno di Marina.
Il primo sms a colori.
La seconda telefonata, inaspettata, con un gongyo improvvisato e tanta energia, da assonnate e ancora in pigiama.
La tradizionale riunione di Capodanno in casa.
In tutto questo movimento lento, ho incontrato, sulla porta, i miei nuovi vicini di casa, di quella che era tua, il nostro rifugio, facendomi trasalire. Che dire, continui a mancarmi come allora, Presi. Ogni giorno. Oggi, anche di più.
E, allora, non mi resta che imparare a sentirti accanto a me, dietro e davanti a me, ancora di più.

L’anno che verrà  

Che severi allenatori questi ultimi! Per questo 2023 che se ne va, solo una cosa c’è da dire: “Bye bye”. Al 2024 che arriva invece direi: “Comportati bene e non fare come il 2023 (e 2021 e 2022)”.

Per questo nuovo anno mi auguro ponti, vertigini e orizzonti. E…di ricominciare, che verbo difficile e, al tempo stesso, intrigante.

Capodanno

Caro 2024, ora tocca a te…

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Il mio giorno zero

Il mio giorno zero. Esiste per tutti un giorno zero? Sì, quello in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Il numero dopo lo zero è sempre un inizio, anche dopo la fine di qualcosa. Un andare daccapo. Negli inizi si è vergini, non si può partire sconfitti e, se succede, beh, è più quella fastidiosa vocina sabotante che s’impone su tutto, e non il tutto. Ci si allontana da qualcosa, da qualcuno, da chi non resta, da chi non c’è mai stato, ma ti sei aggrappato all’idea ci fosse per farti tornare meglio i conti nel cuore. E così lo chiamano “il giorno zero” quella volontà di mettere un punto, respirare profondamente e ripartire, ripartire dal nulla, senza passato, senza futuro, senza la zavorra di tutti i tuoi errori e quelli che gli altri ti hanno scaricato addosso, senza niente.  

Il mio giorno zero

Il mio personalissimo giorno zero

Mi ha investito come un treno il mio personalissimo giorno zero, quello che convenzionalmente ho usato per ripartire. Ogni giorno zero di solito è preceduto da giorni con i numeri relativi, negativi, che ti hanno tolto qualcosa: la famiglia, un amore, un amico, più d’uno, un lavoro, una città, l’autostima, la bellezza di essere ciò che sei. Tocca reinventarsi, cambiare, trasformarsi, crescere improvvisamente e sapersi arrampicare ovunque per salvarsi. Bisogna voltar le spalle a ciò che viene prima di quel giorno per essere viva, possibilista, speciale per te, nuova, davvero me stessa. A volte, capita, che il giorno zero sia più neutro, più bizzarro e senza troppo carico sentimentale, ma non a me. A me non succede mai quel condono emotivo.

Noi, in alto

Il giorno

Quel giorno è stato il mio compleanno, il 16 gennaio, a due anni di vita dalla nascita del blog ma, soprattutto, il primo senza lui, senza quel noi. Ma con lei. Milady, il tuo regalo, anno dopo anno.

[…] Senza loro. Quel tempo di bilanci a cui non si può sfuggire. Un crocevia di tanti nodi e ferite che si sono riuniti tutti lì, insieme, facendo tanto rumore. E poi è arrivato quel messaggio vocale di un’anima spirituale e antica, tra i tanti, ma diverso dai tanti, a restituirmi il senso di quello che stavo vivendo e, in un qualche modo, ad ispirare “le fil rouge” di questo racconto postumo, che riproduco, in parole, per renderne lo spessore “Il tuo tempo è ancora lungo. Si sta dilatando. Non sono 51 anni, ma oggi è il tuo primo anno di vita! Che tu possa viverla anche per Pino, con gioia. Ritrovare quella morbidezza e leggerezza. ..E’ tutto da scrivere il tuo futuro, ti voglio bene, Millina. Buon compleanno, Millina: io ci sono!”.

milady e mileoltarsi indietro o in avanti Milady

L’umiltà dello zero

Grazie Silvia, anche per la tua paziente attesa e le tue puntuali ‘comparse’, perché, sì, oggi quelle parole hanno lo stesso effetto solo “dilatato”, già…  Alla fine, ho capito, sulla mia pelle, che c’è chi rimane in silenzio e in attesa dei tempi giusti, dandoti tempo, e c’è chi scivola via perché non ha tempo di concedere tempo, sta sempre a rincorrere e rimandare il tempo in attesa di qualcosa che può sempre accadere…un giorno, finché non si raggiunge il proprio “giorno”.

Tutti i numeri uno sarebbero minuscoli, se dietro non ci fossero le code osannanti di zeri. L’umiltà dello zero, si accontenta del fascino del non essere, del suo mistero vuoto, mentre i numeri si affannano per crescere e farsi notare.

Amo chi sa ripartire da zero. Consapevole che in quel momento lo zero è maggiore di qualsiasi altra cifra. Anche quando senti di valere zero, ti diranno che vali zero, ricorda che lo zero viene prima di tutti gli altri numeri. Siccome lo zero è “il nulla”, allora il doppio zero indica “il tutto”. Ecco, mi piace ripartire da qui. E puntando a “chiudere” quel cerchio con amore, libertà e leggerezza, presto. Nella tua terra. A primavera.

Dallo zero in poi conti all’infinito.
Per fare il contrario non sai da dove cominciare.
Basterebbe solo questo a mostrare tutta la fragilità e la bellezza del cuore. 

 

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Dentro un caldo abbraccio… puoi fare di tutto

Dentro un caldo abbraccio. Cosa può regalarti un caldo abbraccio? In una mattina di festa, la prima dell’ultimo mese dell’anno, mi è stata donata una mantella di pura lana realizzata a crochet, punto stella, dalla eclettica creatrice di energia Pina Mesisca. Il nome – uncinetto – deriva dal termine francese crochet, che significa ‘gancio’. Le origini della lavorazione all’uncinetto sono antichissime e difficili da tracciare, ma sono stati trovati esempi primitivi in ogni angolo del globo: in Estremo Oriente, in Africa, Europa, America del Nord e del Sud. Si ritrovano anche nella cultura egizia. L’uncinetto dalla forma più delicata ebbe origine in Italia nel XVI secolo; veniva usato soprattutto dalle suore per realizzare addobbi e vestimenti per la chiesa. Mi commuove, sempre, allora come oggi, l’arte tessile di chi danza con questo bastoncino munito a un’estremità di un uncino che serve per prendere e guidare il filo nelle lavorazioni, per intrecciare anelli di filo. Sono cresciuta osservando mia mamma, una paziente e talentuosa sarta, e oggi l’emozione è stata la stessa.

Dentro un caldo abbraccio puoi fare di tutto

Il cucito è la prosa dei lavori femminili; il ricamo la poesia.
I nostri nonni passavano le giornate a cucire. Oggi, invece, il lavoro di cucire è così raro. Si preferisce strappare. I vestiti, le relazioni, le persone.
[…]
Ho capito, mai come in questo faticoso anno, che il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile.
Possiamo farci abbracciare da noi stessi, da chi lo sente, possiamo accogliere un abbraccio di qualsiasi natura esso sia fatto.
Quello di Pina è speciale, oltre per la bellezza, arriva in un momento di grande freddo, dentro e fuori, di energia positiva a far da contraltare a quella negativa, come gesto del cuore, come tempo investito per me, lottando con il suo tempo.
Pina e il suo abbraccio per me. Chi è Pina?
È tante cose, ha tra le mani così tante potenzialità e capacità che ti ci perdi ad ascoltarla, staresti ore e ore ad ascoltarla, a raccontarci pezzi di vite, di passioni comuni: dalla forte e sconfinata spiritualità ad ogni forma di arte (abbigliamento, borse, creme vegan etc), dalla delicata filosofia di vita al realismo più concreto, diretta e cruda, ma così calda e tenera come un abbraccio, appunto.

Nell’abbraccio

Nell’abbraccio – ciò che è stato spigolo, linea interrotta, groviglio – diventa di nuovo, come per miracolo, cerchio perfetto.
Come questo “abbraccio” fatto con le mani di Pina e con una lana avvolgente intrisa di caldo e profumo.
Verbo abbracciare. Un verbo aperto. Privo di muri. Verbo che mostra luce. Verbo che disarma.
Esiste una parola gallese chiamata Cwtch, che è intraducibile in altre lingue.
Significa l’abbraccio in cui ci sentiamo protetti, il posto sicuro che ci dà la persona che ci vuole bene.
È un posto in cui niente ti turba, niente ti ferisce, niente può colpirti.
È un posto speciale, un posto unico, che puoi trovare solo tra quelle braccia.

In certi abbracci ci entri da adulta e ci esci da bambina

Sì, perché dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Sorridere e piangere. Rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro. Come fosse l’ultimo.

Oggi, beh, io mi sento così, in tutto e per tutto, una bambina al caldo e protetta da un abbraccio pelle-pelle. Quello fisico che cerco, da marzo, e quello che saprei riconoscere al buio. Lo stesso che, se chiudo gli occhi, se metto a tacere la mente e il cuore, riesco ancora a sentire addosso.
Sono negata per ago e filo. Non ho mai imparato a cucire ed ora non so come fare con i fili della mia vita.

Però, so attaccare bottone con le persone, rammendare ferite e ricucire rapporti. Vale come capacità sartoriale?
Un anno così difficile, ma che mi sta facendo scoprire Milena, il valore delle persone, quelle da tenere abbracciate, quelle da lasciarle andar via, ma tenendole agganciate sottopelle ogni giorno, e quelle dalle quali allontanarmi io, in punta di piedi, senza far rumore…
[…]
“Grandi eventi non sono preceduti da piccoli presagi. Quando accade un grande male, seguirà un grande bene”. 
Dal Gosho “Grande male e grande bene” (Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, volume I, pag. 992)

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Il rumore del silenzio

Il rumore del silenzio. Le parole si parlano, i silenzi si toccano. Troppo di tutto. Parole, suoni, voci, detti e non detti, confidenze mal con-divise.
Dolore e ferite. Ferite e dolore. Un vortice di sensazioni che fanno a pugni continuamente.
Non ci si abitua, si rinuncia a cambiare le cose.
Non esistono persone più coraggiose di altre, c’è solo chi affronta il dolore quando deve essere affrontato.

Il rumore del silenzio

Non c’è un solo modo di affrontare la solitudine, c’è chi si rinchiude in casa, chi si affeziona troppo agli animali, chi, infine, impara a conversare col silenzio .
Quante coppie sono unite dalla non scelta…
Quanti disequilibri reggono situazioni al limite…
Quante ferite ci fanno stare a galla…
 
In questo disordine sgraziato di vanterie ed esibizioni, di voci indiscrete che si sovrappongono, che ti rubano l’innocenza dello scambio, l’eleganza del silenzio, la delicatezza del ritrarsi, la forza del prendersi cura delle piccole cose.
Rarità.
S’impara.
Il rumore del silenzio

 

Chi siamo?

Quello che siamo svanisce col corpo, quello che siamo stati, invece, rimane custodito nei nostri cari. 
Ci si abitua alla solitudine e si dimentica di come la notte faccia meno paura se c’è qualcuno che ti respira accanto.
 
Presi minou e cielo aperto
Ci insegnano le equazioni, il “Cinque maggio” a memoria, i nomi dei sette re di Roma, e nessuno ci chiarisce come affrontare le paure, in che modo accettare le delusioni, dove trovare il coraggio per sostenere un dolore, come convivere con noi stessi e lo tsunami del cuore.
C’è il daimoku, per chi come me lo pratica. Quel suono, nam myho renge kyo, che è entrato nella mia via vent’anni fa e non se n’è più andato. Un cambiamento di vita, uno stile di vita, una scelta di vita.
 
“Una volta che abbiamo deciso di migliorare le cose, il nostro potenziale si espande illimitatamente e di fronte a noi si aprono nuove porte. Shin’ichi proseguì: Ogni volta che decidiamo di realizzare o di migliorare qualcosa, finiamo sicuramente per imbatterci in grossi ostacoli; oppure ci troviamo a dover risolvere numerose  contraddizioni. In realtà, il mondo è di per sé pieno di contraddizioni. Non abbiamo altra scelta che continuare ad avanzare giorno dopo giorno con saggezza e perseveranza”.                                            (Daisaku Ikeda, La Nuova Rivoluzione Umana, Vol.30, p.592).
 

Chi diventiamo?

Scegliere, lo so, è logorante, è una decisione forte, è un atto di fede e… chi riesce davvero a farlo fino in fondo? Se non ci si riesce, però, si diventa degli incompiuti.
Il rimorso, poi, è anche peggio. Ti sveglia ogni mattina, t’incateni a qualcosa e qualcuno, ogni volta che non scegli.
 
E poi? Che succede?
 
La vita va avanti e non si cura dei pezzi che lascia per strada.
Ecco perché mi sento così vicina a chi combatte ogni giorno per essere felice nonostante tutto.
E a chi non ci riesce, ma ci prova…
 
CalasettaCalasetta
 
E’ di notte che si percepisce meglio il frastuono del cuore, il ticchettio dell’ansia, il brusio dell’impossibile e il silenzio del mondo.
 
Non c’è mai un silenzio uguale a se stesso. Ci sono silenzi regolari e silenzi irregolari, silenzi pesanti e silenzi leggeri, silenzi limpidi e silenzi soffocati, silenzi oscuri e silenzi luminosi, silenzi spaventosi e silenzi felici, silenzi gelidi e silenzi empatici. Tu chiamali, se vuoi, si-len-zi d’autore. Un vocabolario dei silenzi non conterrebbe meno voci di un vocabolario delle parole.
Il mistero e la bellezza del silenzio è che non fa mai lo stesso rumore.
 
Riparto da qui, da lui – dal silenzio…

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