Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sciogliere i nodi. Si può e si deve.
Il nodo ferma, stringe, blocca.
Ognuno è il nodo di qualcuno o qualcosa.
La bellezza di un nodo non è quando lo stringi, ma anche quando lo sciogli. Quando impari a scioglierlo.
E’ una fase – questa – di “apprendistato” con i nodi, di s-legami, di pettine, di voglia di essere libera, dentro. Libera di imparare una nuova vita, di non dover dipendere dalla paura, dalla famiglia, che non c’è e c’è altrove, dal peso specifico dei ricordi, delle promesse, delle illusioni che mi sono servite da paracadute. Una nuova rinascita partendo dai nodi, quelli più antichi che resistono, ma non vincono più su di me, non di diritto. Spetta a me: vincere o perdere.
E, come scrive il mio maestro, «Perciò, anche se i risultati al momento non sono quelli che avevamo sperato, alla fine vinceremo e potremo guardare indietro con gratitudine rendendoci conto che siamo stati davvero protetti e che tutto ciò che è accaduto ha un profondo significato. Per questo è importante avanzare con grande fiducia, “non nutrire dubbi nel nostro cuore“». (Daisaku Ikeda, Buddismo e Società, 235, p.38-39)
Se sciolgo un nodo molto stretto, la corda ritorta, anziché godere la sua libertà, cerca di ritornare al nodo originario.
Così alcuni problemi della nostra vita.
Il rosa del tramonto, il viola, il vento leggero e i respiri lunghi a distendere pensieri nodosi.
Spesso ciò che è difficile è solo un nodo che nessuno ha la pazienza e la volontà di sciogliere.
Il paradosso dei legami è che in genere sciolgono dei nodi e ne creano altri.
Il nodo più difficile da sciogliere è quello che non lega nulla.
I nodi servono per ricordare. Nei quipu peruviani sembra che un intero alfabeto sia scritto coi nodi.
Basterebbe allentare un nodo per stringerlo più forte.
Il marinaio fa le cose a nodo suo. E io lo sono diventata, in mare e a terra.
E, allora, mi legherò a me. In un nodo o nell’altro.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Mamma, che giri, quanti giri fanno le vite, eh? Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Era la nostra giostra. Sui giri di vite, sto imparando tanto da una canzone di Marco Mengoni che mi ha rapita:
Quando la vita poi esagera
Tutte le corse gli schiaffi, gli sbagli che fai Quando qualcosa ti agita Che giri fanno due viteOggi è il tuo giorno, il nostro gettone, quel gettone che tiro fuori dalle tasche, ogni anno, il 14 maggio, soprattutto. Un giorno pieno di significato, oltre la festa della mamma: sedici anni che sei salita più in alto di me, più lontano da me, eppure sempre fianco a fianco.
La vita è un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma, alla fine, mi hai sempre insegnato a vivermelo a fondo, senza voltarmi indietro a guardare a cosa sarebbe successe se… La nostalgia è una di quelle giostre dove nessuno ti viene a prendere. E sulla piattaforma gli animali di legno sono fermi e sorridono.
Questa vita è una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio, quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi, come succede a me. In un anno così in salita, sì, a ripararmi da pericolosi burroni, da rapidi saliscendi, imparando a piegarmi dolcemente a ridosso delle tante strade con le curve a gomito. Un anno in cui, beh, se la vita è una giostra ho avuto, spesso, la netta sensazione di aver finito i gettoni. Eppure, ho sempre ripreso la corsa, ricercato quella giostra, la nostra. E quella che mi aspetta, sta aspettando, anche nel mentre scrivo…
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni.
Un figlio senza genitori non è più figlio, ma Uomo o Donna, genitore semmai. Senza famiglia si è la persona più vulnerabile al mondo, eppure diventa la più forte, se impara con amore a bastarsi. Il primo anniversario da “orfana”, di madre e padre. Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. E’ come se l’orfano tagliasse lui stesso il suo cordone ombelicale. Ecco, oggi, mi sento così, sarta di taglio su me stessa. Non vinta, non sconfitta, non arresa, ma consapevole e anche così forte come mai avrei pensato di scoprirmi, senza più te e il mio capitano, e tutti gli errori che ho commesso in questi anni…
Sai, mamma, anche oggi, se mi guardo indietro, sulla giostra degli errori sono quella che prende sempre il fiocco e vince il giro successivo. Mi faccio travolgere dalle emozioni, senza mantenere la prudenza al volante della vita, ma sto imparando dagli allenatori implacabili in compagnia dei quali mi hai lasciata. Ho capito, sulla mia pelle, che l’abitudine a dar per scontato l’amore vero che c’è, quello che si tocca, che si ha il privilegio di poter vivere, di scambiarsi in vita, è una giostra ferma, alle volte. E, allora, falla girare. L’ho fatta girare, oh sì!
Sì, alla fine, noi viviamo e moriamo, ma le ruote della giostra continuano a girare.
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde,
che suona una bambina
camminando, scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c’è la banda d’oro rumoroso, divertimento e horror, risate e colpi di stomaco chiuso,
la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini.
Allora, facciamolo un ultimo giro di giostra,
così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze,
e sfiorare le nuvole.
Se la vita è una giostra NON ho finito i gettoni, mamma.
Sempre insieme, noi due.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Capodanno 2023: un altro giro di giostra. Che si porta via un 2022 difficile, in salita, dove tutto quello che poteva accadere è accaduto e… dopo un finale di 2021 già così amaro.
C’era un prima, fino al 2021. Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Le vecchie e familiari giostre, con le criniere dei cavalli che sembrano troppo vere, mi hanno insegnato quanto possa essere esaltante girare in tondo.
Mi hai invitato a un ballo sulla luna, due giri di bollicine, tre spettacoli di magia, quattro passi con gli unicorni, cinque mostre d’arte, sei tramonti, sette giri di giostra, otto fughe in un bosco e diecimila risate. Come potevo dire di no? Quanti anni di tradizioni, abitudini, ricordi, viaggi, casa, famiglia, regali da scartare, simpatici siparietti sul cosa fare e non fare, cosa preparare per cena, compleanni da organizzare [n.d.r. immancabilmente io perché non tu amavi festeggiare, salvo quella tua festa di compleanno a sorpresa, alla vigilia del lockdown, che ti commosse così tanto da rendere visibili a tutti i tuoi occhi umidi: sbam, c’ero riuscita, almeno una volta, a sorprenderti!], gite in auto “senza tetto”, sorprese, di abbracci, qualcuno da chiamare tra partenze e arrivi, quel senso di “case aperte”, quella magia di Natale tutto l’anno. Oggi, c’è in quello che immagino qualcosa che non riesco a vedere. Che fa la magia di quello che immagino. Mai come ora sento che la nazione più forte sulla terra, oltre a noi, è la tua imagi-nazione. Un nuovo inizio senza giorni di te e di me, di noi. Senza chi sapeva essere Presenza e farti sentire importante, ogni giorno.
Un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma goditelo a fondo così come l’amore. Perché, sì, innamorarsi è come essere su un ottovolante che sale soltanto. E ci sono delle salite che ti sparano verso le stelle con tutta la loro forza centrifuga. Ho pagato infiniti giri sulla giostra della vita e, ora, dopo aver visto che ruota sempre e solo in tondo, vorrei davvero poter scendere, per un attimo. Tregua. Questa vita, oggi, assomiglia ad una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio (tu), quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi (io).
Facciamolo un ultimo giro di giostra, così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze, e sfiorare le nuvole, senza finire “mai” i gettoni. Sentirmi, ancora, come al Luna Park. Odore di caramelle e zucchero filato. La mia pelle che vibra sulle giostre. E certi sorrisi al sapore di un “Ti Vorrei Ancora Qui”. E’ stata una prova durissima percorrere, da sola, il 2022 e, forse, anche scrivere nuove pagine dell’anno che verrà. Per il 2023 ci vorrebbe un’epidemia d’amore.
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni, da quell’ultima sera.
L’ultima sera
L’ultima storia,
l’ultimo luna Park…
E tu che sogni
Mentre la giostra va…
(Renato Zero)
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
La mia vita in valigia.
Prendo una valigia leggera e salgo sul treno, carrozza meraviglia, lato finestrino, vicino all’imprevedibile. Ogni valigia che faccio è una storia in più da raccontare.
Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore. Sono quelli più rumorosi, così vissuti e senza quelli io, oggi, non sarei qui – a raccontare.
Oggi ho fatto una valigia che non avrei voluto fare, ma è servita ...in questo 2022 di partenze, troppe senza ritorno. Ogni donna che ha finalmente capito il suo valore, ha raccolto le valigie del suo orgoglio, è salita sul volo della libertà poi atterra nella valle del cambiamento. Non si perde nulla, se ci si ascolta, se si impara.
“Partiamo?” mi dicesti – quelle rare volte – col cuore timoroso, mentre preparavo la valigia. E dentro c’erano così tanti sogni e una luce impacchettata con cura. Non importa se, poi, a partire sia sempre stata sola. Quel “partiamo?” mi ha regalato una valigia piena di sogni.
Io che amo partire, che ho sempre viaggiato il mondo, che con la valigia ho un rapporto intrigante ma, al tempo stesso, subisco la malinconia delle partenze, di chi parte da me senza sapere, a volte, se tornerà. Se ci sarò – ad aspettare.
Della partenza mi piace il saluto dell’alba, l’odore delle valigie piene di vestiti e sogni, l’indugiare dei pensieri nei corridoi e nelle stanze di casa, sapendo che al ritorno saremo cambiati. Mi piace portare con me come unico bagaglio l’oro della fede nell’amore e nella poesia.
Oggi ho preparato una valigia piena di sogni, bloccata alla dogana. E la frase più bella del film Blue Valentin mi trilla nella testa senza sosta “Fai le valigie amore, andiamo nel futuro” e… mi accarezza l’anima come se fossi la protagonista principale Cynthia “Cindy” Heller. Il film si alterna, andando avanti ed indietro nel tempo tra il corteggiamento di Dean Pereira e Cindy e lo scioglimento del loro matrimonio diversi anni dopo. È stato acclamato dalla critica e la Williams (ndr, Cindy) è stata candidata sia all’Oscar che ai Golden Globe come migliore attrice, mentre Gosling (ndr, Dean) ha ricevuto una nomination ai Golden Globe come miglior attore.
Sì, la mia vita in un trolley, ogni volta con tante storie da raccontare, da protagonista principale candidata all’Oscar. Almeno oggi.
Ormai, io e il mio Trolley siamo una Coppia di fatto.
Continuo, e continuerò, ad amare le valigie perché amano il viaggio, non solo intorno al mondo, ma anche intorno a un sogno. Come me. Irriducibile sognatrice, nonostante tutto. Eh già, tra bagagli di esperienza e valige di sogni, (non) ho finito tutto lo spazio!
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il tempo è un’illusione, lo diceva Albert Einstein e gli do ragione.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non lo so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente.
Il tempo – che gli uomini tentano di domare con gli orologi, fino a renderlo un automa – è per se stesso di natura vaga, imprevedibile e multiforme, tale che ognuno dei suoi punti può assumere la misura dell’atomo o dell’infinito.
Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più. E’ passato del tempo, quanto e come, non so spiegarlo, a parole.
E’ passato un anno, dove è successo di tutto in quel “tempo”, da quella corsa forsennata a 180 all’ora con una due posti con a bordo tre anime sospese.
Ore, da Genova a Modena, di speranza verso l’im-possibile, di dolore, di lacrime, di dover “lasciar andare”, di carezze, di spasmi, di sguardi struggenti, di stretta di mani, di guardarsi negli occhi e non trovarsi più nella gioia a tre, ma nel dolore dell’abbandono, della morte che bussava alle porte dei nostri cuori.
Tu hai scelto, autoritaria qual eri, anche alla fine: quando e come arrivare, quando e come scivolare via, addosso a me, guardandoci negli occhi, un’ultima volta.
Quella corsa contro il “tempo”, beh, io non me la sono mai più scordata, ho impiegato tanto tempo per ritornare “a casa”, nella mia Modena, e l’ho fatto in treno (non in auto), nel tentativo di confondere “quel percorso autostradale verso la morte”.
E’ passato un anno senza di te, tenera e aristocratica Minou. Mi sono aggrappata così tanto ai ricordi, allo zio, ad una forza che credevo non sarebbe più tornata, ma è tornata giocoforza, eccome, ma per affrontare altre sfide.
Dopo di te, dietro l’angolo, anche lo zio mi ha lasciata. Come se, improvvisamente, volesse correre e nuotare veloce per raggiungerti. Infatti, i nostri nomi, “ Milena e Minou” sono state le sue ultime parole. Anzi, il tuo nome è stata la prima cosa che ha chiesto “in quel suo tempo”, di cinque mesi dopo.
Mai prima d’ora ho avuto così poco tempo per fare così tanto. Da sola.
Eravamo in due.
Poi in tre.
Poi, in due senza di te.
Poi, in due, senza di te e senza lo zio.
E, infine, noi due, le emme rimaste a ricordare, ogni giorno, il profumo e il calore del nostro tempo.
Oggi, lo so, ma è solo una conferma: la più grossa dimostrazione d’amore è il tempo dedicato, il resto sono parole.
La mia eredità è il tempo, il tempo dedicato a te, a noi tre, il tempo che mi avete dedicato, che siamo regalati. Il tempo di una “nuova vita”.
Il tempo, per tutto quel tempo, che mi hai insegnato a vivere in questa città, senza farmi sentirmi mai una solitaria emigrata. A riempire tanti vuoti di cuore… sempre in attesa di qualcosa di grande che dovesse succedere.
Ed è successo, già, sì, un grande vuoto moltiplicato per due, ma anche il tempo della mia grande occasione di non deludervi, dell’attesa e della cura, nonostante questo tsunami del cuore, questo brutto scherzetto che mi avete riservato “così presto”.
Oggi il tempo è passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi. L’unico posto dove non è passato è in quella nuvola lassù nel tramonto, che mi chiama allo stesso modo di quindici anni fa, di un anno fa, di sei mesi fa.
Oggi, quella nuvola lassù nel tramonto, è ancora la mia (doppia) stella cometa. E’ La mia promessa a te, a voi, di continuare il mio tempo “senza”, ma “con” rinnovata vita, riscoprendomi ogni giorno ‘mamma’ di vita, di qualcosa, di qualcuno, di una nuova Milena, anche in un anno troppo in salita…
Quel tempo…sei ancora tu. Siete voi. Siamo noi.
Solo, s’è fatto tardi molto presto.
Con amore piccola skipper,
la tua mamma
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Nankurunaisa: la cura del tempo. Credo sia una delle parole più belle del mondo. E’ giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”.
Mi sono nascosta dietro un albero inseguita dalle mie ferite. Il signor Tempo si era fermato prima e mi guardava da lontano, come chi non avesse più la forza di corrermi dietro.
E oggi c’è chi guarda noi due. Una a proteggere l’altra. La cucciola pelosa, però, è così “drolla” – come ho imparato stasera da Sonia – che non sa neppure saltare ma, meno male, perché non ha istinti di fuga (ndr, beata lei) alle sue prime uscite di casa. Col tempo – anche Milady – si è conquistata la strada verso il cielo, la luna e le stelle.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, eppure non è mai stato il niente. Mai prima d’ora abbiamo avuto così poco tempo per fare, elaborare, soffrire, sognare e desiderare così tanto.
Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è denaro, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.
Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo. Oggi, ho l’ora, ma non ho mai il tempo. Non più “quel tempo”.
Non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi, ma è in quegli spazi che il dolore picchia più forte quando si sente la mancanza di una persona.
Lo so, nella corsia del tempo non si può sorpassare né fare inversioni a U.
E allora? Riparate la ruota del mondo! Perché deve continuamente girare? Dove si trova la retromarcia?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Capodanno. Un nuovo Capodanno. Cosa ho fatto a Capodanno? Ho chiuso senza salvare. Il mio bilancio di fine anno non è stato approvato.
E’ stato un anno in salita, il 2021, fin da Capodanno. Di notizie urticanti, difficili, di cambia-menti, di progetti saltati, di malattie nella mia famiglia, di legami e amori complicati, ma sempre educativi, di quelli che sanno insegnarti qualcosa anche quando “sulla carta” senti di aver perso, di rincorse contro il tempo, per fermare il tempo. Di viaggi e traversate in solitaria, di cammini a due, ma non due. Di salvataggi disperati, di illusioni che profumavano, sempre, di realtà. Un anno di perdite: del cuore e fisiche. Un anno dove la morte, quella che più temevo, di lei, ha bussato alla mia porta fino a sfondarla. Un anno di tempeste, di temporali, di fulmini a ciel sereno e di tsunami. Quelli che che fendono il cielo, mandando in frammenti anche il più silenzioso e mite dei silenzi. Un anno di rivoluzione del cuore, di movimenti, di determinazioni così potenti da andar incontro alla violenza dell’Universo quando non si ha paura di essere coerenti, ogni giorno. Un anno di incontri, di legami, intensi e veloci, tutti o quasi balsami d’amore, anche quando nati e abortiti sul nascere o quasi. Un anno dove ho imparato a consolidare ciò che c’era, realmente, e si è spezzato, naturalmente, ciò che non “serviva” più consentendo – mi piace crederlo – ad ognuno di seguire i propri cammini, senza rancore o giudizio, ma nella piena consapevolezza e accettazione dell’impermanenza della vita, con tutti i suoi transiti. Alcuni si sono sfilacciati altri defilati e, in altri ancora, sono scivolata io, con la naturalezza, credo, con la quale vi ho fatto ingresso. Un anno di chiusure, non di muri, ma di maggiore intimità, complice l’abbandono, per ritrovarmi, per conoscermi, davvero, a fondo, senza doverci essere, per forza, per tutti. Un anno di “confini”. Un anno di percorsi di crescita e incontri davvero “fortunati”, affatto casuali. Un anno, dopo anni ad allenare la mia pazienza, tenacia e fiducia verso l’altro, nel quale qualcuno ha trovato la Via, anche grazie alla mia incondizionata dedizione. Tanti, molti, sapranno ritrovarsi in queste parole, credo. Chi più chi meno…
Però, ora, che siamo arrivati alla fine dell’anno, qualcuno mi spieghi la trama! E’ stato un anno di amore, di conflitto, di sogni ad occhi aperti, di affanno, di salite col fiato corto, ma di avventure pazzesche, dentro casa, principalmente, grazie o a causa della Covid-19 e con tutte le restrizioni del caso, fase dopo fase, di conquista di libertà, sancite dai dpcm e dal cuore, dalle lotte di fede, che non scorderò tanto facilmente.
Un anno dove la morte, 14 anni dopo, ha fatto irruzione in casa mia, nelle mie case, nel mio cuore, togliendomi tanta della Milena che conosco da vicino, quella che sorride sempre, ma insegnandomi tanto, sulla vita, su di lei, su chi era e non era, su chi può diventare, nonostante tutto. Il vuoto di Minou, va detto, fa rumore.
Poi, ancora, il confronto su temi delicati e sfide difficili, non si è fermato a quel vuoto, continua, mi ha presentato il conto, nell’ultima settimana dell’anno e, dulcis, ieri.
Cosa c’è da capire, da approfondire quando la vita ti mette davanti a prove così difficili? Tutte insieme, come a negarti, nella sua durezza, una possibile e sana tregua del cuore? Per prendere respiro, ogni tanto, per toccare la riva, per ritornare a galla.
Avrei solo bisogno di una tregua.
E di un rifugio.
Ogni tanto bisognerebbe dare una tregua alle nostre colpe, e conceder loro il beneficio del perdono. Troviamo sempre il modo, spesso, di sentirci in colpa quando accadono le cose, di meritarcele, non sembra anche a voi? Anche quando non riusciamo più a tornare “indietro”, sulla strada di “casa”…
Poi, mi ripeto. Datti tempo, datti tregua, datti spazio, datti serenità.
Esci dai tuoi conflitti. Vai a visitare il cielo, incontra un albero, innamorati di un filo d’erba.
Non sei solo là fuori, anche se pensi di esserlo.
Crea un nido di luce dentro di te. Sii pronto ad accogliere ciò che il mondo ti darà.
Prima o poi qualcosa arriva, stanne certa!
Voglio un tempo che è tregua, tra il sollievo di un conflitto finito e la paura di un tuono in arrivo.
Importante, nel frattempo, non sentirmi n bilico su qualcosa che si finge tregua, ma è solo resa.
Negozierò una tregua col mio karma: gli darò ragione a patto che si dimentichi di me e io di lui. Come? Decidere di trasformarlo..!
È arrivato il 2022. Mi piacerebbe urlare al vento “GIOIE POTETE SMETTERE DI NASCONDERVI. VI STO ASPETTANDO!”
Scusa 2022, non è per diffidenza, ma usciamo da una storia difficile con due anni, possiamo dare una sbirciatina prima di entrare?
[…] Ricordo, con tenera compassione, i creatori del “Il 2020 sarà l’anno della ripresa” e “Nel 2021 finirà la crisi”. Gli stessi che, oggi, presentano “2022, adesso sì che è l’anno buono”.
Non so, speriamo che il 2022 non sia la “variante” del 2021. Confesso che mi piacerebbe vedere il trailer del 2022. Così, solo per farmi un’idea. Eppure, se tutto dipende da noi, occorre imparare a gettare nuove cause, anche se, dopo l’anno appena trascorso, è il 2022 che deve scrivere una lista di buoni propositi nei miei confronti!
Tra i propositi del nuovo anno, però, (io) scelgo con cura:
– A chi dare confidenza
– A chi fare una confidenza
– Con chi prendersi della confidenza
– Ad essere Pace e creare la Pace.
E poi arrivano quegli eventi che ti fanno capire che la pace con te stessa in realtà era solo una tregua. Non era davvero La Pace.
Lasciatemi, però, una tregua e prendetevi tutto il resto.
Tra le altre cose che vorrei: un attimo di tregua, un respiro non a vuoto, un po’ di fiducia incondizionata.
Buon Anno! Nuovo o ricondizionato? E va bene, lascia che sia, a volte, le migliori cose iniziano con un finale burrascoso.
Forse.
Addio 2021 e benvenuto (…) 2022!
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Minou…quello che mi manca di te sono io quando stavo con te. Sei riuscita a lasciarmi senza parole. Muta, con un dolore sordo, al petto. Mi sono sempre immaginata come sarebbe stata la mia vita senza di te e, alla fine, mi ci hai messo di fronte, davvero, alla tua morte. Le parole non scivolano, neppure in questo momento, ma sento di dovercele, oggi, un mese dopo.
Sei stata un grande esempio, il migliore, l’unica coinquilina possibile: adottarti, amarti, e prendermi cura di te, un privilegio. Mi hai insegnato, come solo tu potevi riuscirci, l’amore incondizionato, come ci si dedica, rinunciando anche alla libertà che tanto amo. Sono stati mesi difficili, questi ultimi, ma è valsa la pena ogni scambio d’amore, ogni cura “della speranza”, ogni paura del distacco, ogni sofferenza da abbandono, se penso alla vita da regine su e giù per l’Italia che abbiamo con-diviso fino a poco fa: zingare, sempre in movimento, sempre insieme, amata e fotografata da tutto il mondo. Eri tutto tranne che una gatta da appartamento. Ti sei abituata, subito, a vivere cavalcando la mia onda lunga.
Hai riempito la mia vita, senza annoiarla mai, anzi. Mi hai tenuto compagnia quando il mio mondo, dentro e fuori, era un incendio. Sei arrivata con la responsabilità di colmare un pesante vuoto materno e ci siamo scelte, da subito. Ci siamo investite di tutti i ruoli affettivi possibili. Hai dato un senso al mio continuare a vivere a Genova in anni dove, come dire, solo una spavalda e testarda come me poteva insistere in terra ligure, matrigna, ostile, ma così sfidante, al tempo stesso. Quanto daimoku hai respirato, accanto a me, quanta Buddità in ogni tuo gesto…
L’inizio è dolce, assurdo, felice. L’intreccio pieno di buona volontà, forte e carico di tensioni emotive. La fine, una lacerazione. Per un po’ (…) continuerò a urlare il tuo nome a me stessa, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà – dicono. Non lo so, ma non voglio viverti solo nel dolore dell’assenza. Hai deciso tu quando scegliere di andar via, esattamente come quando hai scelto di entrare nella mia vita, avanzando sulle mie gambe per dimostrarmi che mi avevi scelto. Non mi ero mai sentita così “scelta”, prima di allora. Cose che nascono, e non l’avresti mai detto. Altre, poi, che finiscono, e non l’avresti mai neppure immaginato facesse così male.
Un grande immenso amore “che si è spento”, ma solo fisicamente, di morte naturale, nella mia terra, a 180 all’ora, in movimento, come abbiamo sempre vissuto noi, e su quelle stesse gambe dalle quali sei arrivata dritta come un fuso a soli due mesi, con lo sguardo rivolto a noi. Eravamo insieme, come siamo stati in tutti questi anni, con lo zio. Noi tre. E, poi, hai trovato il modo davvero “mistico” di lasciarmi traccia di te, oltre le ceneri: la tua vertebra dorsale, ancora intatta (?…), e a forma di cuore, quasi a rincuorarmi “ehi, io sono ancora qui, ti sostengo sempre, in un altro modo, ma continuerò a farlo” e lo hai ribadito con “un pezzo di te”, di quel corpicino diventato così esile in pochi mesi, come se sentissi che mi servisse quella urgente rassicurazione di continuità.
Le parole, da quel lunedì nero 11 ottobre, se ne stanno zitte sulla soglia a un passo da te che resti fuori, e io non so come chiamarti e chiederti di tornare indietro. E’ così che nascono gli addii?
A partire da quel momento – da quel THE END – non so più chi fu a scrivere il libretto della nostra storia, però mi piacerebbe scoprirlo per dargli quel che si merita. Non riusciamo mai a capire davvero cosa ci fa innamorare di qualcuno, ma uno sguardo, una parola, un sorriso di colpo ci cambiano la vita e non torniamo più a essere quelli che eravamo.
Come abbiamo fatto a passare gli ultimi quasi 14 anni senza smettere mai di amarci e imparando sempre dall’altra? Come ha fatto, improvvisamente, la somma di tutta la presenza a trasformarsi in assenza?
Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito del dolore disperato e della fatica dell’esistere e del desiderare. Del sopravvivere.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. E’ così che finiscono gli amori “fisici”. Le labbra si stancano, i respiri si placano, i battiti diminuiscono, gli orizzonti si restringono. Senti solo il peso delle cose non fatte, e ti scordi di quelle vissute. E dal soffitto le domande ti guardano e non cercano neanche più risposta. Mi hai detto addio, sei sparita dietro le “montagne”, in piena pianura padana, ma posso alzarmi in piedi sul mio cuore per vederti ancora. Gli occhi che guardavano altrove, l’orologio che faceva il giro del polso e la luce che cominciava a tremare. A volte gli addii (2008-2021) possono essere insostenibili, sai?
O, forse, mi stavi preparando, e insegnando, a ricominciare dall’inizio ogni giorno? Dirci addio e perderci di vista. E poi subito cercarci e ritrovarci. Bisognerebbe vivere soltanto di inizi. Come due sconosciuti, che si hanno senza aversi mai del tutto.
Non sarà mai più la stessa cosa, senza di te, senza il tuo essere così esuberantemente femmina, geisha, intrigante, sempre attenta, sensibile e permalosa, viziata ma sempre così troppo adulta ed educata, fragile eppure forte per due, dolcissima e ingenua, alle volte. L’altra me, in tutto. Tu, sì, che solo guardandomi parlavi tutte le lettere dell’alfabeto. Un linguaggio – il nostro – fatto di gesti, di fisicità, quella che non tornerà più e di silenzi, quelli in compagnia dei quali mi hai lasciato, a litigare dentro di me. Ci devo proprio passare attraverso, eh già! Chi arriverà, dopo di te, non lo so ma, una cosa è certa, l’amore passionale e travolgente che ci ha “legate” in modo così simbiotico non sarà mai ripetibile, sarà diverso, un altro amore (?!). E’ stato un vero privilegio esser scelta a farti da mamma.
Trovo impronte di te ovunque, in casa, quella di Genova e poi a Modena, quando riuscirò a rimetterci piedi (…), fuori, in auto, dove abbiamo viaggiato insieme, appena un mese fa, quando ti hanno dimesso dal Pronto Soccorso modenese e mi illudevo ti avrei guarita, ancora una volta, come era già successo.
La morte per me è di difficile accettazione, ma tu lo sai bene, eh? Sei arrivata nove mesi dopo un altro durissimo abbandono, quello di mia mamma, e tu hai riempito ogni centimetro del mio cuore, della mia vita, degli spazi di casa con la tua ingombrante presenza d’amore. E’ difficile non cercarti, non percepire ancora il tuo sguardo, il tuo profumo di borotalco, i tuoi adorabili capricci, gli innumerevoli vizi dello zio ai quali mi sono sempre arresa. Trovo te in ogni dove e la tua “presenza” è davvero senza tempo e senza spazio.
Per mare, in cielo, in terra, su due e quattro ruote… quante storie, quanti viaggi, quante case, quante città, quante emozioni, quanto amore abbiamo respirato e quanto donato… Quante vite abbiamo vissuto in una, quante emozioni allo stato puro, e l’adrenalina della nostra prima, e unica, vacanza in barca a vela di 30 giorni nella nostra amata isola: la Sardegna, la Maddalena. Siamo riuscite a convincere lo skipper amico a veleggiare con a bordo una gatta anche se, di fatto, ti faceva sempre un po’ di paura. Tante vite in una, ma chi se le scorda? Sarà tutto diverso, anche ritornarci, da sola, senza di te…
C’è un momento in cui dal cuore qualcosa si stacca e cade. Lo riconosci subito. Non fa nessun rumore, apparentemente, ma il sangue gela e il cielo scappa da un’altra parte. E, come tredici anni fa, c’era sempre qualcuno accanto a me, a tenermi la mano, ad abbracciarmi, a con-dividere con me, con noi il peso di quel dolore ingombrante, di un vuoto improvviso e lacerante, a cercarmi laddove mi ero persa “dentro”. Lei, l’altra emme biologica del mio cuore. E lui, la nostra famiglia d’adozione. Abbiamo il cuore a sinistra e non al centro del petto per un semplice motivo: quando abbracciamo chi amiamo, il battito del loro cuore riempie il nostro lato vuoto. Ti ho stretta a me fino all’ultimo istante. Addosso a me, nella scatola di carta nella quale ti hanno adagiata, con quell’espressione, improvvisamente serena, propria di chi, indiscussa lottatrice nella vita, sceglie il meritato riposo, con al collo una piccola rosa del roseto di mamma per mano dello zio. Il culmine del mio vuoto l’ho raggiunto arrampicandomi su una cima che non esiste.
Il vuoto non è quello spazio dove cadi, ma quel tempo dove resti. Ad aspettare chi vorresti accanto.
Sei scivolata via troppo presto, da vecchietta, eppure, senza mai invecchiare, aggrappata a me, ascoltando, per tutto il tempo, quel mantra così familiare e al cui ritmo ti eri abituata a convivere: nam myoho renge kyo. Mi hai lasciato una specie di marchio, come se la mia pelle fosse quella di una vacca, una di quelle a cui hanno stampato una lettera sulla natica con un ferro rovente. La emme, la mia iniziale del cuore preferita, nel mio caso, indelebile e intima perché la riconosco solo io, ma c’è.
Emme come Minou, eri davvero l’aristocratica degli Aristogatti, che poi, dal 22 ottobre, il tuo nome ha preso la forma di un pigmento nero che rimarrà per tutta la vita sulla mia caviglia insieme alle impronte delle tue zampine, sì, perché il viaggio non si ferma. Continua…
Alle volte, come adesso, cerco di rimuovere tutto, di fuggire, di chiudermi in un mondo che costruisco come una storia d’avventura. E così continuo a essere divisa tra una realtà che non accetto e una trama che risulta sempre incompiuta. Per il resto non so. Non so che avventura mi aspetta, sai? Mi piace pensare che qualcosa accadrà, consapevole, da buddista, che tutto parte da me, ma forse è solo l’ennesima trama che sto costruendomi per prendere scorciatoie sul dolore vivo, per addolcire, piano piano, la mia cicatrice.
Dovrei lasciare, invece, che quella storia divenga davvero una cicatrice. Le cicatrici possono essere molto utili. E anche molto belle, affascinanti. E’ bello scorrere con le dita su un segno sottile e col pensiero su una traccia nell’anima. Con le cicatrici non ci si convive. Bisogna farne vanto, come i nobili tedeschi che ostentavano la mensur, la cicatrice dei duelli studenteschi, o i guerrieri che le mostrano con onore.
Mi ripeto:
“Fermati.
Respira.
Vai fino in fondo, stavolta!
Agisci!”
Il mio scoglio è la perdita, la separazione da chi si ama, l’abbandono, la morte. Penso davvero che per me sia impossibile adattarmi a questo vivere. Sento il richiamo di una foresta, una montagna, un deserto, un mare, un’avventura, di tutti quei momenti in cui metti in gioco solo il tuo corpo. Mi chiedo che cosa fare quando non sono da qualche parte nel mondo dove posso osservare senza intervenire. Il wu wei lo chiamano i cinesi questo atteggiamento mentale. E’ un concetto taoista molto sottile e interessante.
E’ la comunicazione, come l’energia, come il senso della storia: non segue una linea consequenziale rigorosa. E’ caotica, puro Caos, davvero. E questo non sono io a dirlo. A me piace pensarci, riflettere sul caos, sull’indeterminazione, sui nessi non causali ma casuali, sui principi stocastici. L’astrazione ci salverà. E’ la stessa che osservi in una foresta, in un deserto, in pieno mare o montagna, quando guardi scorrere le nubi, il movimento degli insetti, il cambiamento di colore su una foglia.
Un susseguirsi di cose, eventi, sensazioni, comparse che richiederebbero una scelta o una decisione, mentre io, qualche volta – come questa, orfana e smarrita, spero che le cose accadano. Forse, non mi resta che la scelta di non scegliere, la decisione di attendere. Darmi tempo, fare spazio, non accelerare, rallentare, imparare ad amarti, ed amarmi, cercandoti altrove, annusando il tuo odore, che è rimasto, qui, con me. Il Buddismo è azione….vincere o perdere. Voglio vincere. Voglio tornare a sor-ridere. Voglio trasformare la mia sofferenza in un blocco di creta con il quale giocare e trasformare in belle forme. Voglio strappare la bellezza, ovunque essa sia, e regalartela. Sei sempre stata l’altra me, e la conferma è inequivocabile, adesso.
Non ho mai diviso la mia libertà e i miei spazi, così a stretto gomito, con nessuno, sin da quando ero piccola, ribelle quale ero e sono rimasta. Poi, sei arrivata tu e… hai cambiato la mia vita. In meglio. Hai infranto tutte le mie regole, insegnandomi ad essere meno assolutizzante. Sei stata la parte migliore di me, lo sei, ancora. Lo rimarrai. Sempre.
Chi ti ama conosce le pagine dei libri che hai sottolineato, il tuo modo di ridere di nascosto, le canzoni che vorresti ballare lentamente sotto la pioggia. Chi ti ama ti prende la mano e ti conduce negli angoli più bui di te e ti mostra che non c’è nulla di cui aver paura.
Mai nessuno è tradito dall’amore puro.
E, detta alla Battisti…
Nei tuoi occhi
Innocenti
Posso ancora ritrovare
Il profumo di un amore puro
Puro come il tuo amor.
“Che cos’è quella sensazione quando ci si allontana dalle persone e loro restano sulla pianura finché le si vede appena come macchioline che si disperdono? È il mondo troppo vasto che ci sovrasta, ed è l’addio. Siamo sicuri? Eppure, devo iniziare a puntare avanti verso la prossima pazzesca avventura sotto i cieli”. Quella sensazione, tal quale, che ritrovo, ironia della sorte, quasi a dimenticarmene, nelle parole del grande viaggiatore Jack Kerouac. Quella strada in cui, ora, suona il silenzio, la stessa strada condannata a non esistere…
E, ancora, come scrive il mio maestro, Daisaku Ikeda, “Ogni cosa ha un inizio, passa attraverso tappe intermedie e arriva a una fine. La fine di una cosa significa l’inizio di un’altra. E’ necessaria una risoluta decisione per ripartire. E’ necessaria la luminosa fiamma dell’impegno e un voto appassionato”. (La nuova rivoluzione umana, Vol.30, p.71, Esperia).
La nostra storia non finisce qui, scriverò pagine di noi, racconti, romanzi, staremo insieme ancora, e ancora: te lo prometto “tubicina”. Il dolore non può togliermi anche la scrittura, non a lungo. La mia storia, da adesso in poi, non può essere di fogli bianchi. Tu non lo vorresti mai, lo so…anche se non ho mai capito quanto, e se, ti piacesse essere così sfacciatamente più social di me. Forse, il meglio di noi ha origine dal peggio di noi. Non è necessariamente un male. Ma è qualcosa che, forse, farei bene a mettere in conto.
L’ultimo gettito d’inchiostro per te è del 7 ottobre, davanti ad un tramonto da togliere il fiato sulle alture di Genova. Noi due, su due ruote, a sperimentare anche l’agopuntura come via alternativa a quella che speravo fosse “la cura” e scrivevo: “Non smetterò mai di sognare, avrò forza per vincere, coraggio per non mollare, pazienza per persistere”#minouandi
Quanto amore, bellezza, calore e vicinanza ha richiamato la “nostra” scomparsa: tu dalla mia vita, e io isolata nella mia tana fuori dal mondo. Nuove splendide amicizie cosmopolite, nate “davvero” e cresciute dal dolore di te, e dalla passione felina, ma verso le quali mi hai “traghettato” tu, per non lasciarmi annegare. Altre che ho lasciato andare, così, semplicemente. imparando ad osservare la mia nuova realtà ad occhi aperti. Un amore infinito, che non si può scrivere, ma solo vivere, in silenzio. Però, oggi, mi ripeto le stesse parole, quasi a darmi quella forza che mi merito, che meriti io faccia emergere.
Non smetterò mai di sognare, avrò forza per vincere, coraggio per non mollare, pazienza per persistere#minouandi
Qual è il modo più importante di ricordarti? E’ essere la persona che tu mi hai reso, almeno in parte, e vivere la vita che tu hai contribuito a plasmare. Essere la persona che tu hai contribuito a formare e vivere la vita che tu hai contribuito a modellare non sono solo il modo in cui posso ricordarti: sono il modo in cui devo onorarti. Credo.
Mi manchi tantissimo, ma corri felice e libera… e portami sempre con te. Tra tutte le foglie dell’autunno saprò riconoscere l’unica che, invece di cadere, ha provato a volare. E me ne innamorerò ogni volta.
La tua assenza ha lasciato un vuoto che riempie tutto lo spazio del mio cuore. A distanza di un mese, temo davvero tanto il vuoto, non le catene, non il dolore, sai? La pura essenza del nulla che ti strangola dall’interno e non ti uccide mai. Che coraggio ha la speranza. Va a parlare con i sogni, con l’altrove e con le attese.
Però, va detto, mi sento una campionessa mondiale di vuoto sincronizzato. Hai presente come quando salti alle conclusioni e quelle si spostano, lasciandoti cadere nel vuoto? In quale tempo mi sono ritrovata oggi, in quale epoca? E perché questo sentore di tempesta e di vuoto non corrisponde al cielo azzurro che avevamo attorno?
Buon vento, amore mio. Questo siamo state noi. Siamo. Continueremo ad essere, per sempre.
Con tutto il mio cuore,
la tua mamma.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…