Mamma, che giri fanno le vite

Mamma, che giri, quanti giri fanno le vite, eh? Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Era la nostra giostra. Sui giri di vite, sto imparando tanto da una canzone di Marco Mengoni che mi ha rapita: 

Quando la vita poi esageraTutte le corse gli schiaffi, gli sbagli che faiQuando qualcosa ti agitaChe giri fanno due vite

Oggi è il tuo giorno, il nostro gettone, quel gettone che tiro fuori dalle tasche, ogni anno, il 14 maggio, soprattutto. Un giorno pieno di significato, oltre la festa della mamma: sedici anni che sei salita più in alto di me, più lontano da me, eppure sempre fianco a fianco.

La vita è un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma, alla fine, mi hai sempre insegnato a vivermelo a fondo, senza voltarmi indietro a guardare a cosa sarebbe successe se… La nostalgia è una di quelle giostre dove nessuno ti viene a prendere. E sulla piattaforma gli animali di legno sono fermi e sorridono.

noi due _mammy

Mamma, che giri fanno le vite

Questa vita è una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio, quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi, come succede a me. In un anno così in salita, sì, a ripararmi da pericolosi burroni, da rapidi saliscendi, imparando a piegarmi dolcemente a ridosso delle tante strade con le curve a gomito. Un anno in cui, beh, se la vita è una giostra ho avuto, spesso, la netta sensazione di aver finito i gettoni. Eppure, ho sempre ripreso la corsa, ricercato quella giostra, la nostra. E quella che mi aspetta, sta aspettando, anche nel mentre scrivo…

Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni.

emme come mamma: emme come maggio

Il 14 maggio, 16 anni dopo

Un figlio senza genitori non è più figlio, ma Uomo o Donna, genitore semmai. Senza famiglia si è la persona più vulnerabile al mondo, eppure diventa la più forte, se impara  con amore a bastarsi. Il primo anniversario da “orfana”, di madre e padre. Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. E’ come se l’orfano tagliasse lui stesso il suo cordone ombelicale. Ecco, oggi, mi sento così, sarta di taglio su me stessa. Non vinta, non sconfitta, non arresa, ma consapevole e anche così forte come mai avrei pensato di scoprirmi, senza più te e il mio capitano,  e tutti gli errori che ho commesso in questi anni…

Sai, mamma, anche oggi, se mi guardo indietro, sulla giostra degli errori sono quella che prende sempre il fiocco e vince il giro successivo. Mi faccio travolgere dalle emozioni, senza mantenere la prudenza al volante della vita, ma sto imparando dagli allenatori implacabili in compagnia dei quali mi hai lasciata. Ho capito, sulla mia pelle, che l’abitudine a dar per scontato l’amore vero che c’è, quello che si tocca, che si ha il privilegio di poter vivere, di scambiarsi in vita, è una giostra ferma, alle volte. E, allora, falla girare. L’ho fatta girare, oh sì!

Sì, alla fine, noi viviamo e moriamo, ma le ruote della giostra continuano a girare

mamma, io e moni

Un altro giro di giostra

Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde,
che suona una bambina
camminando, scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c’è la banda d’oro rumoroso, divertimento e horror, risate e colpi di stomaco chiuso,
la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini.

Allora, facciamolo un ultimo giro di giostra,
così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze,
e sfiorare le nuvole.

Se la vita è una giostra NON ho finito i gettoni, mamma.

Sempre insieme, noi due.

 

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Il mio giorno zero

Il mio giorno zero. Esiste per tutti un giorno zero? Sì, quello in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Il numero dopo lo zero è sempre un inizio, anche dopo la fine di qualcosa. Un andare daccapo. Negli inizi si è vergini, non si può partire sconfitti e, se succede, beh, è più quella fastidiosa vocina sabotante che s’impone su tutto, e non il tutto. Ci si allontana da qualcosa, da qualcuno, da chi non resta, da chi non c’è mai stato, ma ti sei aggrappato all’idea ci fosse per farti tornare meglio i conti nel cuore. E così lo chiamano “il giorno zero” quella volontà di mettere un punto, respirare profondamente e ripartire, ripartire dal nulla, senza passato, senza futuro, senza la zavorra di tutti i tuoi errori e quelli che gli altri ti hanno scaricato addosso, senza niente.  

Il mio giorno zero

Il mio personalissimo giorno zero

Mi ha investito come un treno il mio personalissimo giorno zero, quello che convenzionalmente ho usato per ripartire. Ogni giorno zero di solito è preceduto da giorni con i numeri relativi, negativi, che ti hanno tolto qualcosa: la famiglia, un amore, un amico, più d’uno, un lavoro, una città, l’autostima, la bellezza di essere ciò che sei. Tocca reinventarsi, cambiare, trasformarsi, crescere improvvisamente e sapersi arrampicare ovunque per salvarsi. Bisogna voltar le spalle a ciò che viene prima di quel giorno per essere viva, possibilista, speciale per te, nuova, davvero me stessa. A volte, capita, che il giorno zero sia più neutro, più bizzarro e senza troppo carico sentimentale, ma non a me. A me non succede mai quel condono emotivo.

Noi, in alto

Il giorno

Quel giorno è stato il mio compleanno, il 16 gennaio, a due anni di vita dalla nascita del blog ma, soprattutto, il primo senza lui, senza quel noi. Ma con lei. Milady, il tuo regalo, anno dopo anno.

[…] Senza loro. Quel tempo di bilanci a cui non si può sfuggire. Un crocevia di tanti nodi e ferite che si sono riuniti tutti lì, insieme, facendo tanto rumore. E poi è arrivato quel messaggio vocale di un’anima spirituale e antica, tra i tanti, ma diverso dai tanti, a restituirmi il senso di quello che stavo vivendo e, in un qualche modo, ad ispirare “le fil rouge” di questo racconto postumo, che riproduco, in parole, per renderne lo spessore “Il tuo tempo è ancora lungo. Si sta dilatando. Non sono 51 anni, ma oggi è il tuo primo anno di vita! Che tu possa viverla anche per Pino, con gioia. Ritrovare quella morbidezza e leggerezza. ..E’ tutto da scrivere il tuo futuro, ti voglio bene, Millina. Buon compleanno, Millina: io ci sono!”.

milady e mileoltarsi indietro o in avanti Milady

L’umiltà dello zero

Grazie Silvia, anche per la tua paziente attesa e le tue puntuali ‘comparse’, perché, sì, oggi quelle parole hanno lo stesso effetto solo “dilatato”, già…  Alla fine, ho capito, sulla mia pelle, che c’è chi rimane in silenzio e in attesa dei tempi giusti, dandoti tempo, e c’è chi scivola via perché non ha tempo di concedere tempo, sta sempre a rincorrere e rimandare il tempo in attesa di qualcosa che può sempre accadere…un giorno, finché non si raggiunge il proprio “giorno”.

Tutti i numeri uno sarebbero minuscoli, se dietro non ci fossero le code osannanti di zeri. L’umiltà dello zero, si accontenta del fascino del non essere, del suo mistero vuoto, mentre i numeri si affannano per crescere e farsi notare.

Amo chi sa ripartire da zero. Consapevole che in quel momento lo zero è maggiore di qualsiasi altra cifra. Anche quando senti di valere zero, ti diranno che vali zero, ricorda che lo zero viene prima di tutti gli altri numeri. Siccome lo zero è “il nulla”, allora il doppio zero indica “il tutto”. Ecco, mi piace ripartire da qui. E puntando a “chiudere” quel cerchio con amore, libertà e leggerezza, presto. Nella tua terra. A primavera.

Dallo zero in poi conti all’infinito.
Per fare il contrario non sai da dove cominciare.
Basterebbe solo questo a mostrare tutta la fragilità e la bellezza del cuore. 

 

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Dentro un caldo abbraccio… puoi fare di tutto

Dentro un caldo abbraccio. Cosa può regalarti un caldo abbraccio? In una mattina di festa, la prima dell’ultimo mese dell’anno, mi è stata donata una mantella di pura lana realizzata a crochet, punto stella, dalla eclettica creatrice di energia Pina Mesisca. Il nome – uncinetto – deriva dal termine francese crochet, che significa ‘gancio’. Le origini della lavorazione all’uncinetto sono antichissime e difficili da tracciare, ma sono stati trovati esempi primitivi in ogni angolo del globo: in Estremo Oriente, in Africa, Europa, America del Nord e del Sud. Si ritrovano anche nella cultura egizia. L’uncinetto dalla forma più delicata ebbe origine in Italia nel XVI secolo; veniva usato soprattutto dalle suore per realizzare addobbi e vestimenti per la chiesa. Mi commuove, sempre, allora come oggi, l’arte tessile di chi danza con questo bastoncino munito a un’estremità di un uncino che serve per prendere e guidare il filo nelle lavorazioni, per intrecciare anelli di filo. Sono cresciuta osservando mia mamma, una paziente e talentuosa sarta, e oggi l’emozione è stata la stessa.

Dentro un caldo abbraccio puoi fare di tutto

Il cucito è la prosa dei lavori femminili; il ricamo la poesia.
I nostri nonni passavano le giornate a cucire. Oggi, invece, il lavoro di cucire è così raro. Si preferisce strappare. I vestiti, le relazioni, le persone.
[…]
Ho capito, mai come in questo faticoso anno, che il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile.
Possiamo farci abbracciare da noi stessi, da chi lo sente, possiamo accogliere un abbraccio di qualsiasi natura esso sia fatto.
Quello di Pina è speciale, oltre per la bellezza, arriva in un momento di grande freddo, dentro e fuori, di energia positiva a far da contraltare a quella negativa, come gesto del cuore, come tempo investito per me, lottando con il suo tempo.
Pina e il suo abbraccio per me. Chi è Pina?
È tante cose, ha tra le mani così tante potenzialità e capacità che ti ci perdi ad ascoltarla, staresti ore e ore ad ascoltarla, a raccontarci pezzi di vite, di passioni comuni: dalla forte e sconfinata spiritualità ad ogni forma di arte (abbigliamento, borse, creme vegan etc), dalla delicata filosofia di vita al realismo più concreto, diretta e cruda, ma così calda e tenera come un abbraccio, appunto.

Nell’abbraccio

Nell’abbraccio – ciò che è stato spigolo, linea interrotta, groviglio – diventa di nuovo, come per miracolo, cerchio perfetto.
Come questo “abbraccio” fatto con le mani di Pina e con una lana avvolgente intrisa di caldo e profumo.
Verbo abbracciare. Un verbo aperto. Privo di muri. Verbo che mostra luce. Verbo che disarma.
Esiste una parola gallese chiamata Cwtch, che è intraducibile in altre lingue.
Significa l’abbraccio in cui ci sentiamo protetti, il posto sicuro che ci dà la persona che ci vuole bene.
È un posto in cui niente ti turba, niente ti ferisce, niente può colpirti.
È un posto speciale, un posto unico, che puoi trovare solo tra quelle braccia.

In certi abbracci ci entri da adulta e ci esci da bambina

Sì, perché dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Sorridere e piangere. Rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro. Come fosse l’ultimo.

Oggi, beh, io mi sento così, in tutto e per tutto, una bambina al caldo e protetta da un abbraccio pelle-pelle. Quello fisico che cerco, da marzo, e quello che saprei riconoscere al buio. Lo stesso che, se chiudo gli occhi, se metto a tacere la mente e il cuore, riesco ancora a sentire addosso.
Sono negata per ago e filo. Non ho mai imparato a cucire ed ora non so come fare con i fili della mia vita.

Però, so attaccare bottone con le persone, rammendare ferite e ricucire rapporti. Vale come capacità sartoriale?
Un anno così difficile, ma che mi sta facendo scoprire Milena, il valore delle persone, quelle da tenere abbracciate, quelle da lasciarle andar via, ma tenendole agganciate sottopelle ogni giorno, e quelle dalle quali allontanarmi io, in punta di piedi, senza far rumore…
[…]
“Grandi eventi non sono preceduti da piccoli presagi. Quando accade un grande male, seguirà un grande bene”. 
Dal Gosho “Grande male e grande bene” (Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, volume I, pag. 992)

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Nankurunaisa: la cura del tempo

Nankurunaisa: la cura del tempo. Credo sia una delle parole più belle del mondo. E’ giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”.

Mi sono nascosta dietro un albero inseguita dalle mie ferite. Il signor Tempo si era fermato prima e mi guardava da lontano, come chi non avesse più la forza di corrermi dietro.

E oggi c’è chi guarda noi due. Una a proteggere l’altra. La cucciola pelosa, però, è così “drolla” – come ho imparato stasera da Sonia – che non sa neppure saltare ma, meno male, perché non ha istinti di fuga (ndr, beata lei) alle sue prime uscite di casa. Col tempo – anche Milady – si è conquistata la strada verso il cielo, la luna e le stelle.

Milady drollaMilady sui tetti

Nankurunaisa: la cura del tempo

C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, eppure non è mai stato il niente. Mai prima d’ora abbiamo avuto così poco tempo per fare, elaborare, soffrire, sognare e desiderare così tanto. 

Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è denaro, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.

Il tempo

Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo. Oggi, ho l’ora, ma non ho mai il tempo. Non più “quel tempo”. 

Non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi, ma è in quegli spazi che il dolore picchia più forte quando si sente la mancanza di una persona.

Lo so, nella corsia del tempo non si può sorpassare né fare inversioni a U.

E allora? Riparate la ruota del mondo! Perché deve continuamente girare? Dove si trova la retromarcia?

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Capodanno. Nuovo o ricondizionato?

Capodanno. Un nuovo Capodanno. Cosa ho fatto a Capodanno? Ho chiuso senza salvare. Il mio bilancio di fine anno non è stato approvato.

E’ stato un anno in salita, il 2021, fin da Capodanno. Di notizie urticanti, difficili, di cambia-menti, di progetti saltati, di malattie nella mia famiglia, di legami e amori complicati, ma sempre educativi, di quelli che sanno insegnarti qualcosa anche quando “sulla carta” senti di aver perso, di rincorse contro il tempo, per fermare il tempo. Di viaggi e traversate in solitaria, di cammini a due, ma non due. Di salvataggi disperati, di illusioni che profumavano, sempre, di realtà. Un anno di perdite: del cuore e fisiche. Un anno dove la morte, quella che più temevo, di lei, ha bussato alla mia porta fino a sfondarla. Un anno di tempeste, di temporali, di fulmini a ciel sereno e di tsunami. Quelli che che fendono il cielo, mandando in frammenti anche il più silenzioso e mite dei silenzi. Un anno di rivoluzione del cuore, di movimenti, di determinazioni così potenti da andar incontro alla violenza dell’Universo quando non si ha paura di essere coerenti, ogni giorno. Un anno di incontri, di legami, intensi e veloci, tutti o quasi balsami d’amore, anche quando nati e abortiti sul nascere o quasi. Un anno dove ho imparato a consolidare ciò che c’era, realmente, e si è spezzato, naturalmente, ciò che non “serviva” più consentendo – mi piace crederlo – ad ognuno di seguire i propri cammini, senza rancore o giudizio, ma nella piena consapevolezza e accettazione dell’impermanenza della vita, con tutti i suoi transiti. Alcuni si sono sfilacciati altri defilati e, in altri ancora, sono scivolata io, con la naturalezza, credo, con la quale vi ho fatto ingresso. Un anno di chiusure, non di muri, ma di maggiore intimità, complice l’abbandono, per ritrovarmi, per conoscermi, davvero, a fondo, senza doverci essere, per forza, per tutti. Un anno di “confini”. Un anno di percorsi di crescita e incontri davvero “fortunati”, affatto casuali.  Un anno, dopo anni ad allenare la mia pazienza, tenacia e fiducia verso l’altro, nel quale qualcuno ha trovato la Via, anche grazie alla mia incondizionata dedizione. Tanti, molti, sapranno ritrovarsi in queste parole, credo. Chi più chi meno…

Capodanno. Nuovo o ricondizionato?

Però, ora, che siamo arrivati alla fine dell’anno, qualcuno mi spieghi la trama! E’ stato un anno di amore, di conflitto, di sogni ad occhi aperti, di affanno, di salite col fiato corto, ma di avventure pazzesche, dentro casa, principalmente, grazie o a causa della Covid-19 e con tutte le restrizioni del caso, fase dopo fase, di conquista di libertà, sancite dai dpcm e dal cuore, dalle lotte di fede, che non scorderò tanto facilmente.

Un anno dove la morte, 14 anni dopo, ha fatto irruzione in casa mia, nelle mie case, nel mio cuore, togliendomi tanta della Milena che conosco da vicino, quella che sorride sempre, ma insegnandomi tanto, sulla vita, su di lei, su chi era e non era, su chi può diventare, nonostante tutto. Il vuoto di Minou, va detto, fa rumore.

Poi,  ancora, il confronto su temi delicati e sfide difficili, non si è fermato a quel vuoto, continua, mi ha presentato il conto, nell’ultima settimana dell’anno e, dulcis, ieri.

Baci

Tregua e rifugio di Capodanno

Cosa c’è da capire, da approfondire quando la vita ti mette davanti a prove così difficili? Tutte insieme, come a negarti, nella sua durezza, una possibile e sana tregua del cuore? Per prendere respiro, ogni tanto, per toccare la riva, per ritornare a galla.

Avrei solo bisogno di una tregua.
E di un rifugio.

Ogni tanto bisognerebbe dare una tregua alle nostre colpe, e conceder loro il beneficio del perdono. Troviamo sempre il modo, spesso, di sentirci in colpa quando accadono le cose, di meritarcele, non sembra anche a voi? Anche quando non riusciamo più a tornare “indietro”, sulla strada di “casa”…

Poi, mi ripeto. Datti tempo, datti tregua, datti spazio, datti serenità.
Esci dai tuoi conflitti. Vai a visitare il cielo, incontra un albero, innamorati di un filo d’erba.
Non sei solo là fuori, anche se pensi di esserlo.
Crea un nido di luce dentro di te. Sii pronto ad accogliere ciò che il mondo ti darà.
Prima o poi qualcosa arriva, stanne certa!

Il mio 2021, oggi

Voglio un tempo che è tregua, tra il sollievo di un conflitto finito e la paura di un tuono in arrivo.

Importante, nel frattempo, non sentirmi n bilico su qualcosa che si finge tregua, ma è solo resa.

Negozierò una tregua col mio karma: gli darò ragione a patto che si dimentichi di me e io di lui. Come? Decidere di trasformarlo..!

Benvenuto 2022

È arrivato il 2022. Mi piacerebbe urlare al vento “GIOIE POTETE SMETTERE DI NASCONDERVI. VI STO ASPETTANDO!”

Scusa 2022, non è per diffidenza, ma usciamo da una storia difficile con due anni, possiamo dare una sbirciatina prima di entrare?

[…] Ricordo, con tenera compassione, i creatori del “Il 2020 sarà l’anno della ripresa” e “Nel 2021 finirà la crisi”. Gli stessi che, oggi,  presentano “2022, adesso sì che è l’anno buono”.

Non so, speriamo che il 2022 non sia la “variante” del 2021. Confesso che mi piacerebbe vedere il trailer del 2022. Così, solo per farmi un’idea. Eppure, se tutto dipende da noi, occorre imparare a gettare nuove cause, anche se, dopo l’anno appena trascorso, è il 2022 che deve scrivere una lista di buoni propositi nei miei confronti!

Tra i propositi del nuovo anno, però, (io) scelgo con cura:
– A chi dare confidenza

– A chi fare una confidenza

– Con chi prendersi della confidenza

– Ad essere Pace e creare la Pace.

E poi arrivano quegli eventi che ti fanno capire che la pace con te stessa in realtà era solo una tregua. Non era davvero La Pace.
Lasciatemi, però, una tregua e prendetevi tutto il resto.
Tra le altre cose che vorrei: un attimo di tregua, un respiro non a vuoto, un po’ di fiducia incondizionata.

Buon Anno! Nuovo o ricondizionato? E va bene, lascia che sia, a volte, le migliori cose iniziano con un finale burrascoso.

Forse.

Addio 2021 e benvenuto (…) 2022!

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