Mamma, che giri, quanti giri fanno le vite, eh? Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Era la nostra giostra. Sui giri di vite, sto imparando tanto da una canzone di Marco Mengoni che mi ha rapita:
Quando la vita poi esagera
Tutte le corse gli schiaffi, gli sbagli che fai Quando qualcosa ti agita Che giri fanno due viteOggi è il tuo giorno, il nostro gettone, quel gettone che tiro fuori dalle tasche, ogni anno, il 14 maggio, soprattutto. Un giorno pieno di significato, oltre la festa della mamma: sedici anni che sei salita più in alto di me, più lontano da me, eppure sempre fianco a fianco.
La vita è un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma, alla fine, mi hai sempre insegnato a vivermelo a fondo, senza voltarmi indietro a guardare a cosa sarebbe successe se… La nostalgia è una di quelle giostre dove nessuno ti viene a prendere. E sulla piattaforma gli animali di legno sono fermi e sorridono.
Questa vita è una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio, quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi, come succede a me. In un anno così in salita, sì, a ripararmi da pericolosi burroni, da rapidi saliscendi, imparando a piegarmi dolcemente a ridosso delle tante strade con le curve a gomito. Un anno in cui, beh, se la vita è una giostra ho avuto, spesso, la netta sensazione di aver finito i gettoni. Eppure, ho sempre ripreso la corsa, ricercato quella giostra, la nostra. E quella che mi aspetta, sta aspettando, anche nel mentre scrivo…
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni.
Un figlio senza genitori non è più figlio, ma Uomo o Donna, genitore semmai. Senza famiglia si è la persona più vulnerabile al mondo, eppure diventa la più forte, se impara con amore a bastarsi. Il primo anniversario da “orfana”, di madre e padre. Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. E’ come se l’orfano tagliasse lui stesso il suo cordone ombelicale. Ecco, oggi, mi sento così, sarta di taglio su me stessa. Non vinta, non sconfitta, non arresa, ma consapevole e anche così forte come mai avrei pensato di scoprirmi, senza più te e il mio capitano, e tutti gli errori che ho commesso in questi anni…
Sai, mamma, anche oggi, se mi guardo indietro, sulla giostra degli errori sono quella che prende sempre il fiocco e vince il giro successivo. Mi faccio travolgere dalle emozioni, senza mantenere la prudenza al volante della vita, ma sto imparando dagli allenatori implacabili in compagnia dei quali mi hai lasciata. Ho capito, sulla mia pelle, che l’abitudine a dar per scontato l’amore vero che c’è, quello che si tocca, che si ha il privilegio di poter vivere, di scambiarsi in vita, è una giostra ferma, alle volte. E, allora, falla girare. L’ho fatta girare, oh sì!
Sì, alla fine, noi viviamo e moriamo, ma le ruote della giostra continuano a girare.
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde,
che suona una bambina
camminando, scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c’è la banda d’oro rumoroso, divertimento e horror, risate e colpi di stomaco chiuso,
la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini.
Allora, facciamolo un ultimo giro di giostra,
così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze,
e sfiorare le nuvole.
Se la vita è una giostra NON ho finito i gettoni, mamma.
Sempre insieme, noi due.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il mio giorno zero. Esiste per tutti un giorno zero? Sì, quello in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Il numero dopo lo zero è sempre un inizio, anche dopo la fine di qualcosa. Un andare daccapo. Negli inizi si è vergini, non si può partire sconfitti e, se succede, beh, è più quella fastidiosa vocina sabotante che s’impone su tutto, e non il tutto. Ci si allontana da qualcosa, da qualcuno, da chi non resta, da chi non c’è mai stato, ma ti sei aggrappato all’idea ci fosse per farti tornare meglio i conti nel cuore. E così lo chiamano “il giorno zero” quella volontà di mettere un punto, respirare profondamente e ripartire, ripartire dal nulla, senza passato, senza futuro, senza la zavorra di tutti i tuoi errori e quelli che gli altri ti hanno scaricato addosso, senza niente.
Mi ha investito come un treno il mio personalissimo giorno zero, quello che convenzionalmente ho usato per ripartire. Ogni giorno zero di solito è preceduto da giorni con i numeri relativi, negativi, che ti hanno tolto qualcosa: la famiglia, un amore, un amico, più d’uno, un lavoro, una città, l’autostima, la bellezza di essere ciò che sei. Tocca reinventarsi, cambiare, trasformarsi, crescere improvvisamente e sapersi arrampicare ovunque per salvarsi. Bisogna voltar le spalle a ciò che viene prima di quel giorno per essere viva, possibilista, speciale per te, nuova, davvero me stessa. A volte, capita, che il giorno zero sia più neutro, più bizzarro e senza troppo carico sentimentale, ma non a me. A me non succede mai quel condono emotivo.
Quel giorno è stato il mio compleanno, il 16 gennaio, a due anni di vita dalla nascita del blog ma, soprattutto, il primo senza lui, senza quel noi. Ma con lei. Milady, il tuo regalo, anno dopo anno.
[…] Senza loro. Quel tempo di bilanci a cui non si può sfuggire. Un crocevia di tanti nodi e ferite che si sono riuniti tutti lì, insieme, facendo tanto rumore. E poi è arrivato quel messaggio vocale di un’anima spirituale e antica, tra i tanti, ma diverso dai tanti, a restituirmi il senso di quello che stavo vivendo e, in un qualche modo, ad ispirare “le fil rouge” di questo racconto postumo, che riproduco, in parole, per renderne lo spessore “Il tuo tempo è ancora lungo. Si sta dilatando. Non sono 51 anni, ma oggi è il tuo primo anno di vita! Che tu possa viverla anche per Pino, con gioia. Ritrovare quella morbidezza e leggerezza. ..E’ tutto da scrivere il tuo futuro, ti voglio bene, Millina. Buon compleanno, Millina: io ci sono!”.
Grazie Silvia, anche per la tua paziente attesa e le tue puntuali ‘comparse’, perché, sì, oggi quelle parole hanno lo stesso effetto solo “dilatato”, già… Alla fine, ho capito, sulla mia pelle, che c’è chi rimane in silenzio e in attesa dei tempi giusti, dandoti tempo, e c’è chi scivola via perché non ha tempo di concedere tempo, sta sempre a rincorrere e rimandare il tempo in attesa di qualcosa che può sempre accadere…un giorno, finché non si raggiunge il proprio “giorno”.
Tutti i numeri uno sarebbero minuscoli, se dietro non ci fossero le code osannanti di zeri. L’umiltà dello zero, si accontenta del fascino del non essere, del suo mistero vuoto, mentre i numeri si affannano per crescere e farsi notare.
Amo chi sa ripartire da zero. Consapevole che in quel momento lo zero è maggiore di qualsiasi altra cifra. Anche quando senti di valere zero, ti diranno che vali zero, ricorda che lo zero viene prima di tutti gli altri numeri. Siccome lo zero è “il nulla”, allora il doppio zero indica “il tutto”. Ecco, mi piace ripartire da qui. E puntando a “chiudere” quel cerchio con amore, libertà e leggerezza, presto. Nella tua terra. A primavera.
Dallo zero in poi conti all’infinito.
Per fare il contrario non sai da dove cominciare.
Basterebbe solo questo a mostrare tutta la fragilità e la bellezza del cuore.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Una storia da raccontare: “le otto montagne”. Un film, o meglio un romanzo fotografico, in cui memoria e ricordi sono il filo conduttore di una storia di amicizia e amore dai confini labili, molto labili, palpabili tanto intensi, di figure paterne presenti e assenti, di sentieri, ruscelli, petraie, valli e cime innevate, sogni e illusioni mescolate a forme di dipendenze, e di silenzi parlanti.
La montagna non è solo natura incontaminata. “E’ un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura” (Paolo Cognetti). Il padre capo cordata che poi si farà vecchio e, a sua volta, verrà trascinato da quei bambini che diventeranno uomini.
Due bambini che si incontrano e non si lasciano più, anche quando la vita li allontana, apparentemente per sempre, e di un luogo in cui ritrovarsi e riconoscersi, da grandi come allora.
Due bambini così diversi, ma che sanno scegliersi, in quell’estate, tra i campi fioriti e le mucche da portare al pascolo.
Pietro è un ragazzino di città, nato e cresciuto in una famiglia borghese di Torino dove non si possono dire le parolacce.
Bruno, invece, è l’ultimo bambino di un paesino di montagna il cui padre non c’è mai e, quando ritorna, se lo porta via per fargli fare il muratore a dieci anni. E…le parolacce le dice eccome.
Passano gli anni, Bruno rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro andrà via per poi tornare sempre lì.
Una centrifuga di emozioni: i loro dialoghi, le loro promesse, quella di un padre che diventa la loro eredità, i loro silenzi, gli sguardi, quegli abbracci, quel diario ritrovato in vetta, e ben nascosto tra le pietre, le corse e quel senso di appartenenza che non conosce confini.
Quel richiamo alle cime del Grenon, in Valle d’Aosta, il lago di Frudières, quel costante desiderio di sfidare la vita con i suoi schemi, di deviare dalla retta via (ha un nome, poi?…) li accomuna sempre, nonostante le partenze e gli arrivi e lo ‘stare’ di chi rimane sempre lì.
Amore e montagna, vita e inquietudine, rimpianto e accettazione di sé e dell’altro.
In una scena del film, in una notte di instancabili bevute e risate, Pietro disegna su un taccuino un cerchio che simboleggia il mondo. Al centro c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondata da otto mari e otto montagne (ndr, ecco il senso del nome del film).
La domanda è: chi ha imparato di più? Chi ha visitato “le otto montagne” (Pietro) o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru (Bruno)?
Un ambientazione da togliere il fiato, le Alpi e il Nepal, un sali e scendi dalle vette, un andare per conquistarsi un posto nel mondo, un rimanere che è ancorarsi alle radici del cuore.
Il film si snoda attraverso quella domanda e mette a nudo i percorsi opposti dei due.
Se già il film “Le otto montagne” è ad alto impatto emotivo, la fotografia non è da meno: fatta di inquadrature fisse, zoom, campi larghissimi con i quali i due registi seguono il passare degli anni e delle stagioni scegliendo nel formato 4:3 di immortalare le montagne in tutta la loro maestosità tesa verso l’alto.
Un film sull’amicizia. Quella libera. Quella che ti lascia libero di andare via perché le radici non sono geografiche, ma piantate ‘col cemento’ in fondo al cuore.
Di un amore che prova a sfidarsi sulle frequenze dell’altro, anche quando si è soli a sentire il diverso ritmo della vita e, giocoforza, a decidere che direzioni prendere.
“Stavo imparando che cosa succede a uno che va via: che gli altri continuano a vivere senza di lui”. (Paolo Cognetti).
“Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”. (Ibidem)
– P. ” Guarda che c’è un mondo fuori da qui. Questo confine te lo sei inventato tu”.
– B. ” Non ti preoccupare per me: questa montagna non mi ha mai fatto male”.
[…]
Non potevo farmi un regalo migliore ad inizio anno. Ma, si sa, nulla è casuale. Ogni giorno arriva con i propri doni. Oggi, ho scelto di sciogliere i suoi fiocchi.
Un ottovolante – questo regalo a me stessa – di sentimenti liberi, e a spasso per il cuore. Come per ricominciare, anche io, un nuovo viaggio verso l’infinito.
Ti viene voglia di caricare lo zaino sulle spalle e partire alla conquista di una cima.
La mia.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Capodanno 2023: un altro giro di giostra. Che si porta via un 2022 difficile, in salita, dove tutto quello che poteva accadere è accaduto e… dopo un finale di 2021 già così amaro.
C’era un prima, fino al 2021. Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Le vecchie e familiari giostre, con le criniere dei cavalli che sembrano troppo vere, mi hanno insegnato quanto possa essere esaltante girare in tondo.
Mi hai invitato a un ballo sulla luna, due giri di bollicine, tre spettacoli di magia, quattro passi con gli unicorni, cinque mostre d’arte, sei tramonti, sette giri di giostra, otto fughe in un bosco e diecimila risate. Come potevo dire di no? Quanti anni di tradizioni, abitudini, ricordi, viaggi, casa, famiglia, regali da scartare, simpatici siparietti sul cosa fare e non fare, cosa preparare per cena, compleanni da organizzare [n.d.r. immancabilmente io perché non tu amavi festeggiare, salvo quella tua festa di compleanno a sorpresa, alla vigilia del lockdown, che ti commosse così tanto da rendere visibili a tutti i tuoi occhi umidi: sbam, c’ero riuscita, almeno una volta, a sorprenderti!], gite in auto “senza tetto”, sorprese, di abbracci, qualcuno da chiamare tra partenze e arrivi, quel senso di “case aperte”, quella magia di Natale tutto l’anno. Oggi, c’è in quello che immagino qualcosa che non riesco a vedere. Che fa la magia di quello che immagino. Mai come ora sento che la nazione più forte sulla terra, oltre a noi, è la tua imagi-nazione. Un nuovo inizio senza giorni di te e di me, di noi. Senza chi sapeva essere Presenza e farti sentire importante, ogni giorno.
Un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma goditelo a fondo così come l’amore. Perché, sì, innamorarsi è come essere su un ottovolante che sale soltanto. E ci sono delle salite che ti sparano verso le stelle con tutta la loro forza centrifuga. Ho pagato infiniti giri sulla giostra della vita e, ora, dopo aver visto che ruota sempre e solo in tondo, vorrei davvero poter scendere, per un attimo. Tregua. Questa vita, oggi, assomiglia ad una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio (tu), quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi (io).
Facciamolo un ultimo giro di giostra, così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze, e sfiorare le nuvole, senza finire “mai” i gettoni. Sentirmi, ancora, come al Luna Park. Odore di caramelle e zucchero filato. La mia pelle che vibra sulle giostre. E certi sorrisi al sapore di un “Ti Vorrei Ancora Qui”. E’ stata una prova durissima percorrere, da sola, il 2022 e, forse, anche scrivere nuove pagine dell’anno che verrà. Per il 2023 ci vorrebbe un’epidemia d’amore.
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni, da quell’ultima sera.
L’ultima sera
L’ultima storia,
l’ultimo luna Park…
E tu che sogni
Mentre la giostra va…
(Renato Zero)
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sì, perché dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Sorridere e piangere. Rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro. Come fosse l’ultimo.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
La mia vita in valigia.
Prendo una valigia leggera e salgo sul treno, carrozza meraviglia, lato finestrino, vicino all’imprevedibile. Ogni valigia che faccio è una storia in più da raccontare.
Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore. Sono quelli più rumorosi, così vissuti e senza quelli io, oggi, non sarei qui – a raccontare.
Oggi ho fatto una valigia che non avrei voluto fare, ma è servita ...in questo 2022 di partenze, troppe senza ritorno. Ogni donna che ha finalmente capito il suo valore, ha raccolto le valigie del suo orgoglio, è salita sul volo della libertà poi atterra nella valle del cambiamento. Non si perde nulla, se ci si ascolta, se si impara.
“Partiamo?” mi dicesti – quelle rare volte – col cuore timoroso, mentre preparavo la valigia. E dentro c’erano così tanti sogni e una luce impacchettata con cura. Non importa se, poi, a partire sia sempre stata sola. Quel “partiamo?” mi ha regalato una valigia piena di sogni.
Io che amo partire, che ho sempre viaggiato il mondo, che con la valigia ho un rapporto intrigante ma, al tempo stesso, subisco la malinconia delle partenze, di chi parte da me senza sapere, a volte, se tornerà. Se ci sarò – ad aspettare.
Della partenza mi piace il saluto dell’alba, l’odore delle valigie piene di vestiti e sogni, l’indugiare dei pensieri nei corridoi e nelle stanze di casa, sapendo che al ritorno saremo cambiati. Mi piace portare con me come unico bagaglio l’oro della fede nell’amore e nella poesia.
Oggi ho preparato una valigia piena di sogni, bloccata alla dogana. E la frase più bella del film Blue Valentin mi trilla nella testa senza sosta “Fai le valigie amore, andiamo nel futuro” e… mi accarezza l’anima come se fossi la protagonista principale Cynthia “Cindy” Heller. Il film si alterna, andando avanti ed indietro nel tempo tra il corteggiamento di Dean Pereira e Cindy e lo scioglimento del loro matrimonio diversi anni dopo. È stato acclamato dalla critica e la Williams (ndr, Cindy) è stata candidata sia all’Oscar che ai Golden Globe come migliore attrice, mentre Gosling (ndr, Dean) ha ricevuto una nomination ai Golden Globe come miglior attore.
Sì, la mia vita in un trolley, ogni volta con tante storie da raccontare, da protagonista principale candidata all’Oscar. Almeno oggi.
Ormai, io e il mio Trolley siamo una Coppia di fatto.
Continuo, e continuerò, ad amare le valigie perché amano il viaggio, non solo intorno al mondo, ma anche intorno a un sogno. Come me. Irriducibile sognatrice, nonostante tutto. Eh già, tra bagagli di esperienza e valige di sogni, (non) ho finito tutto lo spazio!
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il tempo è un’illusione, lo diceva Albert Einstein e gli do ragione.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non lo so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente.
Il tempo – che gli uomini tentano di domare con gli orologi, fino a renderlo un automa – è per se stesso di natura vaga, imprevedibile e multiforme, tale che ognuno dei suoi punti può assumere la misura dell’atomo o dell’infinito.
Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più. E’ passato del tempo, quanto e come, non so spiegarlo, a parole.
E’ passato un anno, dove è successo di tutto in quel “tempo”, da quella corsa forsennata a 180 all’ora con una due posti con a bordo tre anime sospese.
Ore, da Genova a Modena, di speranza verso l’im-possibile, di dolore, di lacrime, di dover “lasciar andare”, di carezze, di spasmi, di sguardi struggenti, di stretta di mani, di guardarsi negli occhi e non trovarsi più nella gioia a tre, ma nel dolore dell’abbandono, della morte che bussava alle porte dei nostri cuori.
Tu hai scelto, autoritaria qual eri, anche alla fine: quando e come arrivare, quando e come scivolare via, addosso a me, guardandoci negli occhi, un’ultima volta.
Quella corsa contro il “tempo”, beh, io non me la sono mai più scordata, ho impiegato tanto tempo per ritornare “a casa”, nella mia Modena, e l’ho fatto in treno (non in auto), nel tentativo di confondere “quel percorso autostradale verso la morte”.
E’ passato un anno senza di te, tenera e aristocratica Minou. Mi sono aggrappata così tanto ai ricordi, allo zio, ad una forza che credevo non sarebbe più tornata, ma è tornata giocoforza, eccome, ma per affrontare altre sfide.
Dopo di te, dietro l’angolo, anche lo zio mi ha lasciata. Come se, improvvisamente, volesse correre e nuotare veloce per raggiungerti. Infatti, i nostri nomi, “ Milena e Minou” sono state le sue ultime parole. Anzi, il tuo nome è stata la prima cosa che ha chiesto “in quel suo tempo”, di cinque mesi dopo.
Mai prima d’ora ho avuto così poco tempo per fare così tanto. Da sola.
Eravamo in due.
Poi in tre.
Poi, in due senza di te.
Poi, in due, senza di te e senza lo zio.
E, infine, noi due, le emme rimaste a ricordare, ogni giorno, il profumo e il calore del nostro tempo.
Oggi, lo so, ma è solo una conferma: la più grossa dimostrazione d’amore è il tempo dedicato, il resto sono parole.
La mia eredità è il tempo, il tempo dedicato a te, a noi tre, il tempo che mi avete dedicato, che siamo regalati. Il tempo di una “nuova vita”.
Il tempo, per tutto quel tempo, che mi hai insegnato a vivere in questa città, senza farmi sentirmi mai una solitaria emigrata. A riempire tanti vuoti di cuore… sempre in attesa di qualcosa di grande che dovesse succedere.
Ed è successo, già, sì, un grande vuoto moltiplicato per due, ma anche il tempo della mia grande occasione di non deludervi, dell’attesa e della cura, nonostante questo tsunami del cuore, questo brutto scherzetto che mi avete riservato “così presto”.
Oggi il tempo è passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi. L’unico posto dove non è passato è in quella nuvola lassù nel tramonto, che mi chiama allo stesso modo di quindici anni fa, di un anno fa, di sei mesi fa.
Oggi, quella nuvola lassù nel tramonto, è ancora la mia (doppia) stella cometa. E’ La mia promessa a te, a voi, di continuare il mio tempo “senza”, ma “con” rinnovata vita, riscoprendomi ogni giorno ‘mamma’ di vita, di qualcosa, di qualcuno, di una nuova Milena, anche in un anno troppo in salita…
Quel tempo…sei ancora tu. Siete voi. Siamo noi.
Solo, s’è fatto tardi molto presto.
Con amore piccola skipper,
la tua mamma
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Emme come mamma. La mia. Quanta strada, da quel lontano (…) 14 maggio 2007. Quanti anni, quanti cammini, al buio, quante strade imboccate nel tentativo di ri-trovare la Via. Persa, ripresa, e sono ancora qui a cercare di ritrovarmi, rimettermi in careggiata, sai? Oggi, paradossalmente, più di allora.
Certe strade sanno dirlo meglio. Come certe persone. Come tu, mamma. Tu che conoscevi ogni angolo del mio cuore e della mia mente. A volte si percorrono strade che il cuore non capisce
e la mente non sa spiegare.
Ma l’anima lo sa.
Ogni tanto mi è successo di fare una svolta sbagliata ed uscire dal sentiero. Perdermi in qualcosa che amavo, che ho incontrato dopo di te, e il tuo vuoto, come un premio a riempire quel rumore di silenzi che hai lasciato. Non so cosa penseresti, oggi, di me, ma so che non mi sono mai fermata, ho continuato a correre anche quando non sapevo la direzione, eppure la tua bussola mi guidava, insieme alla mia fede buddista. La stessa che ho abbracciato vent’anni fa proprio a causa, o semplicemente, grazie a te, alla tua malattia e al mio instancabile spirito di ricerca.
E…come Modena, quindici anni fa, senza di te. Da allora, la mia vita è cambiata, radicalmente: radici, terra, legami, spaesamenti. Tutto nuovo, tutto da riscrivere, tutto da reinventare per una figlia orfana di mamma ed emigrata. Come se la tua scomparsa, così prematura, mi avesse permesso tutti gli incontri significativi che mi si sono “presentati” davanti. Grandi amori, grandi riempimenti di cuore, quasi fossi sempre tu il mandante di tanto vuoto e tanta pienezza d’amore. Numeri che sembrano coincidenze. Anni che sanno come calpestarti la vita.
Minou, la mia bambina pelosa che mi ha accompagnata per oltre 13 anni.
Presi, il capitano con il quale ho percorso tanta strada, in questi ultimi 13 anni. Incontrarti per la prima volta all’angolo di quella strada, che sarebbe diventata (anche) casa mia, è stata una dichiarazione di vita, una poesia mai letta, un’esplosione di colori, una scala appoggiata nel cielo, migliaia di fiori di campo appesi a ogni tua parola. Improvvisamente, non ero più sola. Non eravamo più soli. E, poi, sei arrivata tu, Milady, come regalo, ma siamo rimaste solo noi, alla fine. E tu, mamma, lo sapevi, vero?
Come ci arrivo a questa data di maggio? A questi quindici anni “senza mamma”? Ammaccata, sai? Non da ferma, però, ma sempre più orfana: di te, di Minou e di lui. Ci arrivo da Donna, più consapevole, di chi ero, di chi sono e di chi voglio e devo diventare per me stessa e per tutte le Emme del mio cuore. E, anche, per tutte le emme che verranno dopo di te, dopo di voi. Mi hai insegnato tante cose, che sono rimaste sempre con me.
[…]
E’ cosa di un momento: io sono la strada e lascio dietro di me il viandante che ero e la distanza e l’affanno e l’incertezza, e ogni cosa è dentro la mia strada. Questa, è una di quelle.
Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Tanti, troppi, sapessi. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare e, non solo, anche montagne. Mi sono presa un momento, fatto di anni, per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un’occhiata da dove ero venuta. Eppure, l’ho capito, eh già, posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito. Anche se, diciamocelo, questo nuovo anno e i miei “tanto attesi” cinquant’anni non me li aspettavo proprio così, eh…!
Mi torna in mente Edoardo Bennato ...”Seconda stella a destra, questo è il cammino.. e poi dritto fino al mattino!”
La vita dovrebbe avere più svincoli,
piazzole delle meraviglia,
strade della felicità senza uscita,
baci ai caselli
e nessun limite alle possibilità.
Ti voglio bene mamma, grazie per tutta questa strada e quella che farò, faremo ancora…
Tua Milly
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
World Cats 2022, la promessa mantenuta: l’esposizione internazionale felina torna a Genova, dopo due anni di pausa dettata dalla pandemia da Covid-19. Quattrocento gatti di tutte le razze insieme ai loro proprietari, provenienti da tutta Europa, sono arrivati all’Rds Stadium della Fiumara per disputare i Campionati Internazionali di Bellezza nelle giornate del 23 e 24 aprile. Un appuntamento gettonatissimo per gli amanti degli amici a quattro zampe, organizzato da World Cats e patrocinato dall’ANFI (Associazione Nazionale Felina Italiana).
Più di trenta le razze in esposizione: dai giganti americani Maine Coon ai norvegesi delle foreste, dai Ragdolls agli American Curl con le orecchie a ricciolo, dai Kurilian Bobtail con le code a pon-pon ai Bengal con il mantello leopardato. E, ancora, i Sacri di Birmania dai piedini guantati e gli occhi di zaffiro, i morbidi British Shortair e gli Sphinx, più noti come gatti nudi o senza pelo, i Persiani dal lungo mantello, i Blu di Russia anche conosciuti come i gatti degli zar, i Siamesi e gli Orientali/Esotici, poi i Certosini dal mantello blu, che devono il loro nome ai monasteri francesi Chartreux.
C’è un prima e un dopo. Poi, c’è un durante, quello che ti ritrovi ad attraversare, da sola, ma non da sola. Eppure, non come pensavo di arrivarci, in nome di quella “promessa”, a te. Chi ha mai fatto una statistica delle promesse non mantenute nel mondo? Nessuno, credo, ma sono sicuramente miliardi di miliardi. E alcune di quelle promesse non mantenute che fine hanno fatto? Ci sono arrivata in condizioni difficili, sei riuscito a lasciarmi senza parole e senza energie, dal 26 marzo, poi immobile dal 31, eppure ci eravamo promessi di partecipare, insieme, alla Mostra Felina con la nostra cucciola, First Milady Sguardi Dolci: il mio speciale regalo di compleanno.
E, allora, l’ho mantenuta, sai? Mi hai insegnato, a durissimo prezzo, che il tempo non lo decidiamo noi, rimandare si può, certo, ma alle volte, poi, è tardi. E, così, non per mettermi fretta, però la parola data andava, e va, mantenuta, entro questa vita. Entro questa data: 23 aprile 2022. Le promesse sono gli unici appuntamenti a cui non dovrei, e vorrei, mai mancare.
Mi sono ritrovata, per la prima volta in vita mia, lì, ad una mostra felina, tra tanta gente, estranea, nel perimetro di uno dei tanti ampi rings rettangolari dove soggiornare insieme ai propri gatti, accudendoli personalmente (e non lasciandoli “in vetrina”). Tra allevatori, che sono diventati amici, accompagnata da chi ha aiutato – Milady – a venire alla luce, Sonia Fenu, e sostenuta anche da chi non c’era, ma c’era: Martina PintusBoi, la mamma umana di Gomez, il suo papà. Non ero sola, eppure così orfana. A superare il controllo dei medici veterinari, l’esame e la valutazione dei Giudici di Gara, esperti che sono autorizzati dalla Fife (Federation International Féline), organizzazione mondiale alla quale aderisce l’ANFI.
Milady, che proprio sabato ha compiuto sei mesi, entrava, per la prima volta, insieme a me, in quel circuito di bellezza, competizione, di spaesamento, dopo aver perso “lo zio”, ma era come se ne avesse sempre fatto parte, nella sua compostezza, dolcezza, nei suoi “sguardi dolci”, nel suo cercarmi, continuamente e io, di riflesso, così attenta a proteggerla. Gare e competizioni che si sono tradotte nella valutazione estetica dei soggetti in base allo standard di razza. Gatti presentati ai giudici da esperti assistenti, gli stewards, che sapevano come tenerli in braccio, valorizzando le loro caratteristiche.
L’emozione di accompagnarla era tale e tanta che non ho saputo realizzare a cosa stessi andando incontro, se non alla fine. Ho incontrato il giudice Gianfranco Mantovani, negli occhi e attraverso la sua scrupolosa valutazione, ricca di apprezzamenti e di note di colore, e lì ho capito che non sarebbe stato un attimo qualsiasi, per Milady, per me. Per noi. Tu, ancora una volta, c’hai messo la zampino, eri con noi, eccome.
Milady si è aggiudicata la nomination per il BEST IN SHOW e una bellissima coccarda gialla a testimoniare la sua bellezza e tutte le altre qualità promettenti.
Dopo le selezioni, i migliori soggetti hanno sfilato per il Best in Show, la gara più emozionante, quella che porta alla votazione del gatto più bello di tutta l’esposizione. E’ lì, in quel tanto atteso momento, dove vengono spiegate le caratteristiche delle varie razze, raccontate sia la storia che le leggende legate ad ogni singola razza oltre alla distribuzione dei premi ai migliori soggetti qualificati nei due giorni.
E Milady? E’ arrivata in finale, ha “gareggiato” con i gatti più belli d’Italia e d’Europa, e ha dimostrato, ancora una volta, quanto la cura, l’amore, la bellezza, i legami che sono cresciuti con lei, possono fare la differenza. La sua nomination, dunque, va allo zio Pino, a te Presi, che l’hai voluta, amata e viziata fin da subito, per soli due mesi, dal suo arrivo, ma saresti stato così fiero di lei. Di noi. Ti saresti commosso, di nascosto, al riparo da tutto e tutti, ma oggi le mie lacrime, le mie emozioni, la mia gioia, mista al vuoto della tua assenza, facevano così rumore che sono arrivate a raggiungerti, ovunque tu sia: mare, vento, sole, capricci e sorrisi.
I ringraziamenti sono tanti, e a più persone. A Franco Ballari, che mi ha insegnato “al momento giusto” quel tocco magico in più sulla cura estetica, offrendomi qualche minuto del suo tempo, stimolandomi ad imparare, a Tatiana Motolese, alla sua disponibilità e fiducia, pur in quella telefonata ‘movimentata’, all’ultimo momento, a Sonia, che ha sfidato e vinto su se stessa per esserci e accompagnarmi, a Daniela, la cui voce e il cui sostegno mi accompagnano, da mesi, in questo mio percorso “in salita”, ai deliziosi addobbi sardi ‘salvavita’ di Marcella Flore, a chi ci ha offerto un passaggio sotto la pioggia, alla pazienza e gentilezza del mio amico Vittorio Santi, che è sempre “sul pezzo”, al bellissimo scatto di copertina di Francesco Spadafora, all’allevatrice piemontese, Franca, che ha saputo, con empatia e discrezione, incontrare i miei occhi e leggerci dentro tutte le lettere dell’alfabeto – anche quelle mute -, al sorriso e alla gioia di Maria, che ho incontrato sotto il diluvio, la sera, per donarle cibo per i gatti della sua oasi felina.
A Milady, soprattutto a lei, che si è meritata ogni emozione che mi ha fatto provare. A te, che sei la mia eredità vivente, una meravigliosa e promettente vita da crescere tra le mie mani. E, dulcis, anche a me, alla forza che ho dovuto far emergere per essere presente, il più possibile, tra lacrime, malinconia, debolezze e quel sorriso ‘finale’ che sei riuscita a strapparmi. Ci sono delusioni e ferite che ti scaraventano fuori dal corpo, dalla ragione, dal mondo, dall’universo, dalla vita. Poi arriva la forza. Non sai da dove, ma arriva. E ti risolleva.
Poi, ci sono le promesse…
I per sempre me li ricordo benissimo.
Sanno di cielo e promesse e occhi che ti guardano.
Forse il carattere è ciò che si forma in un tardo pomeriggio, quando la delusione ha riempito le nostre mani di specchi infranti, ore perdute e promesse mai avverate. Come quel tardo pomeriggio, del 26 marzo, in cui mi hai salutato, uscendo da casa, con la promessa di raggiungerci più tardi e…
Tu e le tue promesse, con te stesso e con me, andavate d’accordo, oh sì, anche se il ritmo non ha giocato a nostro favore nel tempo né, diciamo, alla fine… Eppure, quelle che potevi mantenere, beh, le hai sempre promesse per onorarle.
Però, io lo ricordo ancora quel modo che avevi di metter le tue promesse intorno alle mie, faceva, e fa, venir voglia di rimanere incastrati per sempre.
Ogni mattina, guardo l’orizzonte all’alba, e se il sole mantiene la sua promessa, mantengo la mia.
Questa è la mia. Questa è quella di Milady.
Per te, capitano, con tutto il nostro amore,
Milena e Milady
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…