La porta, del passato. Quella accanto, quella di fronte. Soglia come uscio, come uscire, come lasciarsi andare, come lasciare andare. Come andare incontro a ciò che succede. C’era un tempo in cui ero stata abituata a vivere le porte, soprattutto le nostre, per essere aperte, per accogliere e lasciare entrare la luce, il vento, gli altri. Noi. Un continuum di casa, senza muri, di fatto.
Ci sono persone che hanno dentro di sé una luce enorme, abbagliante, riempitiva, ingombrante, anche, ma unica e rara, che neppure loro stesse conoscono a fondo. Come te. Dopo di te, raramente mi è capitato di viverla, così sulla pelle.
Come quelle porte che hanno una riga di luce sotto e restano chiuse e non sapranno mai quanto bagliore potrebbero mostrare se venissero aperte, potendo ritornare indietro.
Ci sono persone che entrano nella tua vita solo per ricordarti di chiudere la porta a chiave più spesso. Quante porte abbiamo aperto, poi chiuso, ma sempre riaperto in oltre dieci anni. A chiave, socchiuse, spalancate, ma il verbo “aprire” e “fare entrare” era il filo che ci univa. Noi, le case, le porte, gli affetti, Minou, poi Milady, quante persone sono entrate, di quante illusioni abbiamo vissuto, abbiamo sbagliato a fidarci o, forse, non abbiamo avuto il coraggio di “smontare” le nostre paure sulla realtà.
Dopo di te, di noi, la misura di certi giorni sono le scale che salgo faticosamente, lo sguardo basso e la chiave che non gira nel modo giusto nella porta. Lo sguardo sempre rivolto all’indietro, come a cercare ancora quella vita, quella storia, quelle abitudini con le quali mi sentivo al centro del Mondo.
Hai chiuso davvero una porta quando non ti importa più sbirciare dalla serratura, di accusare ogni rumore come boomerang, di farti graffiare il cuore da chi entra “dopo di te”. Sì, perché è estenuante bussare, idealmente, a una porta che non si apre. Ma lo è di più tenere aperta una porta in cui nessuno entra: tu.
Oggi, da più parti, mi sono arrivate queste parole di amore, di fede, di speranza per me: «mettere insieme i pezzi, smettere di guardare indietro, ma guardare solo avanti. Le cicatrici hanno valore perché parlano della nostra battaglia interiore. Non vergognarsi delle proprie debolezze, non nasconderle, ma usarle per rafforzare la nostra forza. E, soprattutto, perdonare, essere pace e in pace».
«Guarda avanti»- mi è stato ripetuto – per guarire.
Quella porta, si è aperta, nuovamente, mi ha svegliata di mattino presto. Rumori molesti e la stessa violenza. Sono entrata dentro, come l’ultima volta, quasi estranea e abusiva – come loro – di tanta “bruttezza della tua non casa”. Mi sono immaginata te e questo pensiero «non aprire mai le porte a coloro che le aprono anche senza il tuo permesso». Sono uscita, col nodo in gola, e portandomi via due oggetti, ricordi di viaggi insieme, ma alla fine sono solo cose, il legame inattaccabile e inviolabile è il cuore, nel cuore.
Ci sono pensieri – come questi – che ti rimbombano dentro come una porta sbattuta. O una mai aperta.
Ho chiuso con le illusioni, ma queste continuano – testarde – a cercare di buttar giù la porta.
Voglio imparare ad aprire la porta e dietro trovare te. Non aver paura del vuoto, del prima e del dopo, ma sentire “casa”, ogni giorno, nel cuore. Non sono pronta ad assistere al trasloco, a chi verrà, se rimarrò qui, ma so che voglio guarire, guardare avanti, senza essere più ostaggio del passato. Voglio continuare il mio viaggio, sentendo la bellezza che hai lasciato, in queste case, dentro la mia vita, senza soffocare nell’abbandono. Ci riuscirò? Sì, me lo devo. Te lo devo. Eppure, mi manchi e mi mancano i nostri abbracci di “famiglia”. E, alla fine, il “tutto insieme”: è solo la prima delle altre porte “di casa” che si stanno chiudendo.
Si dice che la porta sia la parte più lunga di un viaggio – Porta itineris dicitur longissima esse.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Krav Maga, ma di cosa si tratta? L’espressione krav maga, in ebraico moderno, significa letteralmente “combattimento con contatto/combattimento a corta distanza”. E’ un sistema di difesa di origine israeliana sviluppato originariamente per contrastare le aggressioni antisemite negli anni 1960 e poi, successivamente, adottato dalle forze di difesa israeliane. Il Krav Maga deriva da una combinazione di tecniche provenienti da boxe, aikido, judo, karate, kung-fu e combattimento da strada.
È costruito estrapolando e semplificando i movimenti e le tecniche apprese attraverso lo studio delle arti marziali e degli sport da combattimento in modo da renderlo il più semplice ed efficace possibile in caso di aggressione. Il Krav Maga non è uno sport da combattimento né un’arte marziale, esso sviluppa lo studio di due situazioni: la difesa personale, intesa come prevenzione in caso di aggressione, e, in fase avanzata, il combattimento corpo a corpo. E’ il sistema di autodifesa più usato al mondo: lo praticano reparti speciali dell’esercito, guardie del corpo e addetti alla sicurezza.
La violenza non è forza ma debolezza
La violenza, sotto qualsiasi forma si presenti, è un male in continua evoluzione in una società dove resta alto il numero di femminicidi, in Italia e in Europa. Con femminicidio si intende l’omicidio di una donna in quanto donna. Dal primo femminicidio in Italia di una nobildonna palermitana, nel lontano 2 marzo 1911, ad oggi, i fatti di cronaca parlano di numeri da togliere il respiro: nel 2023 già 70 femminicidi in Italia mentre, nel mondo, 5 ogni ora, stando all’ultimo rapporto Onu. La violenza contro le donne, ma non solo, rappresenta una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani.
Ho scoperto il Krav Maga grazie all’incontro con Carlo Garofano, così appassionato di questa disciplina che mi ha incuriosito fino al punto di volerne scrivere. Mi parla di lui, di cosa si occupa la sua associazione I.S.K.M e dove si può praticare a Genova. Mi colpisce – di lui – una frase “sempre studenti, qualche volta maestri”. I.S.K.M. nasce a Genova nel luglio del 2012. fondata da Carlo Garofano, presidente e responsabile tecnico per la Liguria della federazione europea di Krav Maga Richard Douieb ( F.E.K.M R-D). Durante i corsi vengono mostrate agli allievi varie tipologie di aggressioni con le relative tecniche di difesa, aggressioni che possono avvenire a scopo di rapina, di stupro, o più semplicemente per violenza gratuita e verranno trattati argomenti sulla psicologia comportamentale durante un’ aggressione. Inoltre, nei corsi avanzati, si simulano aggressioni con le armi (coltelli, pistole, bastoni), o qualsiasi oggetto atto ad offendere.
I corsi riprenderanno a Genova, nelle due strutture (orari consultabili sul sito): Palestra Italia (lunedì 25 settembre) e WELL & FIT (martedì 26 settembre).
Settembre il mese della prevenzione, il mese della ripartenza. Nonostante sia tradizionalmente associato con la fine dell’estate e l’imminente arrivo dell’autunno, settembre a me è sempre parso un mese di inizi, una sorta di primavera.
A settembre, c’è nell’aria una strana sensazione che accompagna l’attesa. E ci rende felici e malinconici. Un’idea di fine, un’idea di inizio. Sì, perché abbiamo continuamente bisogno di nuovi inizi.
Prendendo a prestito una celebre frase di Marilyn Monroe «c’è un momento che devi decidere: o sei la principessa che aspetta di essere salvata o sei la guerriera che si salva da sé… Io credo di aver già scelto… Mi sono salvata da sola».
E voi?
Ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne e… per tutta l’Umanità.
Meglio vivere più in “difesa” che “indifese”…no?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sciogliere i nodi. Si può e si deve.
Il nodo ferma, stringe, blocca.
Ognuno è il nodo di qualcuno o qualcosa.
La bellezza di un nodo non è quando lo stringi, ma anche quando lo sciogli. Quando impari a scioglierlo.
E’ una fase – questa – di “apprendistato” con i nodi, di s-legami, di pettine, di voglia di essere libera, dentro. Libera di imparare una nuova vita, di non dover dipendere dalla paura, dalla famiglia, che non c’è e c’è altrove, dal peso specifico dei ricordi, delle promesse, delle illusioni che mi sono servite da paracadute. Una nuova rinascita partendo dai nodi, quelli più antichi che resistono, ma non vincono più su di me, non di diritto. Spetta a me: vincere o perdere.
E, come scrive il mio maestro, «Perciò, anche se i risultati al momento non sono quelli che avevamo sperato, alla fine vinceremo e potremo guardare indietro con gratitudine rendendoci conto che siamo stati davvero protetti e che tutto ciò che è accaduto ha un profondo significato. Per questo è importante avanzare con grande fiducia, “non nutrire dubbi nel nostro cuore“». (Daisaku Ikeda, Buddismo e Società, 235, p.38-39)
Se sciolgo un nodo molto stretto, la corda ritorta, anziché godere la sua libertà, cerca di ritornare al nodo originario.
Così alcuni problemi della nostra vita.
Il rosa del tramonto, il viola, il vento leggero e i respiri lunghi a distendere pensieri nodosi.
Spesso ciò che è difficile è solo un nodo che nessuno ha la pazienza e la volontà di sciogliere.
Il paradosso dei legami è che in genere sciolgono dei nodi e ne creano altri.
Il nodo più difficile da sciogliere è quello che non lega nulla.
I nodi servono per ricordare. Nei quipu peruviani sembra che un intero alfabeto sia scritto coi nodi.
Basterebbe allentare un nodo per stringerlo più forte.
Il marinaio fa le cose a nodo suo. E io lo sono diventata, in mare e a terra.
E, allora, mi legherò a me. In un nodo o nell’altro.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Una storia da raccontare: “le otto montagne”. Un film, o meglio un romanzo fotografico, in cui memoria e ricordi sono il filo conduttore di una storia di amicizia e amore dai confini labili, molto labili, palpabili tanto intensi, di figure paterne presenti e assenti, di sentieri, ruscelli, petraie, valli e cime innevate, sogni e illusioni mescolate a forme di dipendenze, e di silenzi parlanti.
La montagna non è solo natura incontaminata. “E’ un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura” (Paolo Cognetti). Il padre capo cordata che poi si farà vecchio e, a sua volta, verrà trascinato da quei bambini che diventeranno uomini.
Due bambini che si incontrano e non si lasciano più, anche quando la vita li allontana, apparentemente per sempre, e di un luogo in cui ritrovarsi e riconoscersi, da grandi come allora.
Due bambini così diversi, ma che sanno scegliersi, in quell’estate, tra i campi fioriti e le mucche da portare al pascolo.
Pietro è un ragazzino di città, nato e cresciuto in una famiglia borghese di Torino dove non si possono dire le parolacce.
Bruno, invece, è l’ultimo bambino di un paesino di montagna il cui padre non c’è mai e, quando ritorna, se lo porta via per fargli fare il muratore a dieci anni. E…le parolacce le dice eccome.
Passano gli anni, Bruno rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro andrà via per poi tornare sempre lì.
Una centrifuga di emozioni: i loro dialoghi, le loro promesse, quella di un padre che diventa la loro eredità, i loro silenzi, gli sguardi, quegli abbracci, quel diario ritrovato in vetta, e ben nascosto tra le pietre, le corse e quel senso di appartenenza che non conosce confini.
Quel richiamo alle cime del Grenon, in Valle d’Aosta, il lago di Frudières, quel costante desiderio di sfidare la vita con i suoi schemi, di deviare dalla retta via (ha un nome, poi?…) li accomuna sempre, nonostante le partenze e gli arrivi e lo ‘stare’ di chi rimane sempre lì.
Amore e montagna, vita e inquietudine, rimpianto e accettazione di sé e dell’altro.
In una scena del film, in una notte di instancabili bevute e risate, Pietro disegna su un taccuino un cerchio che simboleggia il mondo. Al centro c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondata da otto mari e otto montagne (ndr, ecco il senso del nome del film).
La domanda è: chi ha imparato di più? Chi ha visitato “le otto montagne” (Pietro) o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru (Bruno)?
Un ambientazione da togliere il fiato, le Alpi e il Nepal, un sali e scendi dalle vette, un andare per conquistarsi un posto nel mondo, un rimanere che è ancorarsi alle radici del cuore.
Il film si snoda attraverso quella domanda e mette a nudo i percorsi opposti dei due.
Se già il film “Le otto montagne” è ad alto impatto emotivo, la fotografia non è da meno: fatta di inquadrature fisse, zoom, campi larghissimi con i quali i due registi seguono il passare degli anni e delle stagioni scegliendo nel formato 4:3 di immortalare le montagne in tutta la loro maestosità tesa verso l’alto.
Un film sull’amicizia. Quella libera. Quella che ti lascia libero di andare via perché le radici non sono geografiche, ma piantate ‘col cemento’ in fondo al cuore.
Di un amore che prova a sfidarsi sulle frequenze dell’altro, anche quando si è soli a sentire il diverso ritmo della vita e, giocoforza, a decidere che direzioni prendere.
“Stavo imparando che cosa succede a uno che va via: che gli altri continuano a vivere senza di lui”. (Paolo Cognetti).
“Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”. (Ibidem)
– P. ” Guarda che c’è un mondo fuori da qui. Questo confine te lo sei inventato tu”.
– B. ” Non ti preoccupare per me: questa montagna non mi ha mai fatto male”.
[…]
Non potevo farmi un regalo migliore ad inizio anno. Ma, si sa, nulla è casuale. Ogni giorno arriva con i propri doni. Oggi, ho scelto di sciogliere i suoi fiocchi.
Un ottovolante – questo regalo a me stessa – di sentimenti liberi, e a spasso per il cuore. Come per ricominciare, anche io, un nuovo viaggio verso l’infinito.
Ti viene voglia di caricare lo zaino sulle spalle e partire alla conquista di una cima.
La mia.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Capodanno 2023: un altro giro di giostra. Che si porta via un 2022 difficile, in salita, dove tutto quello che poteva accadere è accaduto e… dopo un finale di 2021 già così amaro.
C’era un prima, fino al 2021. Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Le vecchie e familiari giostre, con le criniere dei cavalli che sembrano troppo vere, mi hanno insegnato quanto possa essere esaltante girare in tondo.
Mi hai invitato a un ballo sulla luna, due giri di bollicine, tre spettacoli di magia, quattro passi con gli unicorni, cinque mostre d’arte, sei tramonti, sette giri di giostra, otto fughe in un bosco e diecimila risate. Come potevo dire di no? Quanti anni di tradizioni, abitudini, ricordi, viaggi, casa, famiglia, regali da scartare, simpatici siparietti sul cosa fare e non fare, cosa preparare per cena, compleanni da organizzare [n.d.r. immancabilmente io perché non tu amavi festeggiare, salvo quella tua festa di compleanno a sorpresa, alla vigilia del lockdown, che ti commosse così tanto da rendere visibili a tutti i tuoi occhi umidi: sbam, c’ero riuscita, almeno una volta, a sorprenderti!], gite in auto “senza tetto”, sorprese, di abbracci, qualcuno da chiamare tra partenze e arrivi, quel senso di “case aperte”, quella magia di Natale tutto l’anno. Oggi, c’è in quello che immagino qualcosa che non riesco a vedere. Che fa la magia di quello che immagino. Mai come ora sento che la nazione più forte sulla terra, oltre a noi, è la tua imagi-nazione. Un nuovo inizio senza giorni di te e di me, di noi. Senza chi sapeva essere Presenza e farti sentire importante, ogni giorno.
Un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma goditelo a fondo così come l’amore. Perché, sì, innamorarsi è come essere su un ottovolante che sale soltanto. E ci sono delle salite che ti sparano verso le stelle con tutta la loro forza centrifuga. Ho pagato infiniti giri sulla giostra della vita e, ora, dopo aver visto che ruota sempre e solo in tondo, vorrei davvero poter scendere, per un attimo. Tregua. Questa vita, oggi, assomiglia ad una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio (tu), quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi (io).
Facciamolo un ultimo giro di giostra, così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze, e sfiorare le nuvole, senza finire “mai” i gettoni. Sentirmi, ancora, come al Luna Park. Odore di caramelle e zucchero filato. La mia pelle che vibra sulle giostre. E certi sorrisi al sapore di un “Ti Vorrei Ancora Qui”. E’ stata una prova durissima percorrere, da sola, il 2022 e, forse, anche scrivere nuove pagine dell’anno che verrà. Per il 2023 ci vorrebbe un’epidemia d’amore.
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni, da quell’ultima sera.
L’ultima sera
L’ultima storia,
l’ultimo luna Park…
E tu che sogni
Mentre la giostra va…
(Renato Zero)
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sì, perché dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Sorridere e piangere. Rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro. Come fosse l’ultimo.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
La mia vita in valigia.
Prendo una valigia leggera e salgo sul treno, carrozza meraviglia, lato finestrino, vicino all’imprevedibile. Ogni valigia che faccio è una storia in più da raccontare.
Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore. Sono quelli più rumorosi, così vissuti e senza quelli io, oggi, non sarei qui – a raccontare.
Oggi ho fatto una valigia che non avrei voluto fare, ma è servita ...in questo 2022 di partenze, troppe senza ritorno. Ogni donna che ha finalmente capito il suo valore, ha raccolto le valigie del suo orgoglio, è salita sul volo della libertà poi atterra nella valle del cambiamento. Non si perde nulla, se ci si ascolta, se si impara.
“Partiamo?” mi dicesti – quelle rare volte – col cuore timoroso, mentre preparavo la valigia. E dentro c’erano così tanti sogni e una luce impacchettata con cura. Non importa se, poi, a partire sia sempre stata sola. Quel “partiamo?” mi ha regalato una valigia piena di sogni.
Io che amo partire, che ho sempre viaggiato il mondo, che con la valigia ho un rapporto intrigante ma, al tempo stesso, subisco la malinconia delle partenze, di chi parte da me senza sapere, a volte, se tornerà. Se ci sarò – ad aspettare.
Della partenza mi piace il saluto dell’alba, l’odore delle valigie piene di vestiti e sogni, l’indugiare dei pensieri nei corridoi e nelle stanze di casa, sapendo che al ritorno saremo cambiati. Mi piace portare con me come unico bagaglio l’oro della fede nell’amore e nella poesia.
Oggi ho preparato una valigia piena di sogni, bloccata alla dogana. E la frase più bella del film Blue Valentin mi trilla nella testa senza sosta “Fai le valigie amore, andiamo nel futuro” e… mi accarezza l’anima come se fossi la protagonista principale Cynthia “Cindy” Heller. Il film si alterna, andando avanti ed indietro nel tempo tra il corteggiamento di Dean Pereira e Cindy e lo scioglimento del loro matrimonio diversi anni dopo. È stato acclamato dalla critica e la Williams (ndr, Cindy) è stata candidata sia all’Oscar che ai Golden Globe come migliore attrice, mentre Gosling (ndr, Dean) ha ricevuto una nomination ai Golden Globe come miglior attore.
Sì, la mia vita in un trolley, ogni volta con tante storie da raccontare, da protagonista principale candidata all’Oscar. Almeno oggi.
Ormai, io e il mio Trolley siamo una Coppia di fatto.
Continuo, e continuerò, ad amare le valigie perché amano il viaggio, non solo intorno al mondo, ma anche intorno a un sogno. Come me. Irriducibile sognatrice, nonostante tutto. Eh già, tra bagagli di esperienza e valige di sogni, (non) ho finito tutto lo spazio!
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…