Sì, perché dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Sorridere e piangere. Rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro. Come fosse l’ultimo.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
La mia vita in valigia.
Prendo una valigia leggera e salgo sul treno, carrozza meraviglia, lato finestrino, vicino all’imprevedibile. Ogni valigia che faccio è una storia in più da raccontare.
Ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore. Sono quelli più rumorosi, così vissuti e senza quelli io, oggi, non sarei qui – a raccontare.
Oggi ho fatto una valigia che non avrei voluto fare, ma è servita ...in questo 2022 di partenze, troppe senza ritorno. Ogni donna che ha finalmente capito il suo valore, ha raccolto le valigie del suo orgoglio, è salita sul volo della libertà poi atterra nella valle del cambiamento. Non si perde nulla, se ci si ascolta, se si impara.
“Partiamo?” mi dicesti – quelle rare volte – col cuore timoroso, mentre preparavo la valigia. E dentro c’erano così tanti sogni e una luce impacchettata con cura. Non importa se, poi, a partire sia sempre stata sola. Quel “partiamo?” mi ha regalato una valigia piena di sogni.
Io che amo partire, che ho sempre viaggiato il mondo, che con la valigia ho un rapporto intrigante ma, al tempo stesso, subisco la malinconia delle partenze, di chi parte da me senza sapere, a volte, se tornerà. Se ci sarò – ad aspettare.
Della partenza mi piace il saluto dell’alba, l’odore delle valigie piene di vestiti e sogni, l’indugiare dei pensieri nei corridoi e nelle stanze di casa, sapendo che al ritorno saremo cambiati. Mi piace portare con me come unico bagaglio l’oro della fede nell’amore e nella poesia.
Oggi ho preparato una valigia piena di sogni, bloccata alla dogana. E la frase più bella del film Blue Valentin mi trilla nella testa senza sosta “Fai le valigie amore, andiamo nel futuro” e… mi accarezza l’anima come se fossi la protagonista principale Cynthia “Cindy” Heller. Il film si alterna, andando avanti ed indietro nel tempo tra il corteggiamento di Dean Pereira e Cindy e lo scioglimento del loro matrimonio diversi anni dopo. È stato acclamato dalla critica e la Williams (ndr, Cindy) è stata candidata sia all’Oscar che ai Golden Globe come migliore attrice, mentre Gosling (ndr, Dean) ha ricevuto una nomination ai Golden Globe come miglior attore.
Sì, la mia vita in un trolley, ogni volta con tante storie da raccontare, da protagonista principale candidata all’Oscar. Almeno oggi.
Ormai, io e il mio Trolley siamo una Coppia di fatto.
Continuo, e continuerò, ad amare le valigie perché amano il viaggio, non solo intorno al mondo, ma anche intorno a un sogno. Come me. Irriducibile sognatrice, nonostante tutto. Eh già, tra bagagli di esperienza e valige di sogni, (non) ho finito tutto lo spazio!
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il tempo è un’illusione, lo diceva Albert Einstein e gli do ragione.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non lo so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente.
Il tempo – che gli uomini tentano di domare con gli orologi, fino a renderlo un automa – è per se stesso di natura vaga, imprevedibile e multiforme, tale che ognuno dei suoi punti può assumere la misura dell’atomo o dell’infinito.
Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più. E’ passato del tempo, quanto e come, non so spiegarlo, a parole.
E’ passato un anno, dove è successo di tutto in quel “tempo”, da quella corsa forsennata a 180 all’ora con una due posti con a bordo tre anime sospese.
Ore, da Genova a Modena, di speranza verso l’im-possibile, di dolore, di lacrime, di dover “lasciar andare”, di carezze, di spasmi, di sguardi struggenti, di stretta di mani, di guardarsi negli occhi e non trovarsi più nella gioia a tre, ma nel dolore dell’abbandono, della morte che bussava alle porte dei nostri cuori.
Tu hai scelto, autoritaria qual eri, anche alla fine: quando e come arrivare, quando e come scivolare via, addosso a me, guardandoci negli occhi, un’ultima volta.
Quella corsa contro il “tempo”, beh, io non me la sono mai più scordata, ho impiegato tanto tempo per ritornare “a casa”, nella mia Modena, e l’ho fatto in treno (non in auto), nel tentativo di confondere “quel percorso autostradale verso la morte”.
E’ passato un anno senza di te, tenera e aristocratica Minou. Mi sono aggrappata così tanto ai ricordi, allo zio, ad una forza che credevo non sarebbe più tornata, ma è tornata giocoforza, eccome, ma per affrontare altre sfide.
Dopo di te, dietro l’angolo, anche lo zio mi ha lasciata. Come se, improvvisamente, volesse correre e nuotare veloce per raggiungerti. Infatti, i nostri nomi, “ Milena e Minou” sono state le sue ultime parole. Anzi, il tuo nome è stata la prima cosa che ha chiesto “in quel suo tempo”, di cinque mesi dopo.
Mai prima d’ora ho avuto così poco tempo per fare così tanto. Da sola.
Eravamo in due.
Poi in tre.
Poi, in due senza di te.
Poi, in due, senza di te e senza lo zio.
E, infine, noi due, le emme rimaste a ricordare, ogni giorno, il profumo e il calore del nostro tempo.
Oggi, lo so, ma è solo una conferma: la più grossa dimostrazione d’amore è il tempo dedicato, il resto sono parole.
La mia eredità è il tempo, il tempo dedicato a te, a noi tre, il tempo che mi avete dedicato, che siamo regalati. Il tempo di una “nuova vita”.
Il tempo, per tutto quel tempo, che mi hai insegnato a vivere in questa città, senza farmi sentirmi mai una solitaria emigrata. A riempire tanti vuoti di cuore… sempre in attesa di qualcosa di grande che dovesse succedere.
Ed è successo, già, sì, un grande vuoto moltiplicato per due, ma anche il tempo della mia grande occasione di non deludervi, dell’attesa e della cura, nonostante questo tsunami del cuore, questo brutto scherzetto che mi avete riservato “così presto”.
Oggi il tempo è passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi. L’unico posto dove non è passato è in quella nuvola lassù nel tramonto, che mi chiama allo stesso modo di quindici anni fa, di un anno fa, di sei mesi fa.
Oggi, quella nuvola lassù nel tramonto, è ancora la mia (doppia) stella cometa. E’ La mia promessa a te, a voi, di continuare il mio tempo “senza”, ma “con” rinnovata vita, riscoprendomi ogni giorno ‘mamma’ di vita, di qualcosa, di qualcuno, di una nuova Milena, anche in un anno troppo in salita…
Quel tempo…sei ancora tu. Siete voi. Siamo noi.
Solo, s’è fatto tardi molto presto.
Con amore piccola skipper,
la tua mamma
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Nankurunaisa: la cura del tempo. Credo sia una delle parole più belle del mondo. E’ giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”.
Mi sono nascosta dietro un albero inseguita dalle mie ferite. Il signor Tempo si era fermato prima e mi guardava da lontano, come chi non avesse più la forza di corrermi dietro.
E oggi c’è chi guarda noi due. Una a proteggere l’altra. La cucciola pelosa, però, è così “drolla” – come ho imparato stasera da Sonia – che non sa neppure saltare ma, meno male, perché non ha istinti di fuga (ndr, beata lei) alle sue prime uscite di casa. Col tempo – anche Milady – si è conquistata la strada verso il cielo, la luna e le stelle.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, eppure non è mai stato il niente. Mai prima d’ora abbiamo avuto così poco tempo per fare, elaborare, soffrire, sognare e desiderare così tanto.
Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è denaro, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.
Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo. Oggi, ho l’ora, ma non ho mai il tempo. Non più “quel tempo”.
Non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi, ma è in quegli spazi che il dolore picchia più forte quando si sente la mancanza di una persona.
Lo so, nella corsia del tempo non si può sorpassare né fare inversioni a U.
E allora? Riparate la ruota del mondo! Perché deve continuamente girare? Dove si trova la retromarcia?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Emme come mamma. La mia. Quanta strada, da quel lontano (…) 14 maggio 2007. Quanti anni, quanti cammini, al buio, quante strade imboccate nel tentativo di ri-trovare la Via. Persa, ripresa, e sono ancora qui a cercare di ritrovarmi, rimettermi in careggiata, sai? Oggi, paradossalmente, più di allora.
Certe strade sanno dirlo meglio. Come certe persone. Come tu, mamma. Tu che conoscevi ogni angolo del mio cuore e della mia mente. A volte si percorrono strade che il cuore non capisce
e la mente non sa spiegare.
Ma l’anima lo sa.
Ogni tanto mi è successo di fare una svolta sbagliata ed uscire dal sentiero. Perdermi in qualcosa che amavo, che ho incontrato dopo di te, e il tuo vuoto, come un premio a riempire quel rumore di silenzi che hai lasciato. Non so cosa penseresti, oggi, di me, ma so che non mi sono mai fermata, ho continuato a correre anche quando non sapevo la direzione, eppure la tua bussola mi guidava, insieme alla mia fede buddista. La stessa che ho abbracciato vent’anni fa proprio a causa, o semplicemente, grazie a te, alla tua malattia e al mio instancabile spirito di ricerca.
E…come Modena, quindici anni fa, senza di te. Da allora, la mia vita è cambiata, radicalmente: radici, terra, legami, spaesamenti. Tutto nuovo, tutto da riscrivere, tutto da reinventare per una figlia orfana di mamma ed emigrata. Come se la tua scomparsa, così prematura, mi avesse permesso tutti gli incontri significativi che mi si sono “presentati” davanti. Grandi amori, grandi riempimenti di cuore, quasi fossi sempre tu il mandante di tanto vuoto e tanta pienezza d’amore. Numeri che sembrano coincidenze. Anni che sanno come calpestarti la vita.
Minou, la mia bambina pelosa che mi ha accompagnata per oltre 13 anni.
Presi, il capitano con il quale ho percorso tanta strada, in questi ultimi 13 anni. Incontrarti per la prima volta all’angolo di quella strada, che sarebbe diventata (anche) casa mia, è stata una dichiarazione di vita, una poesia mai letta, un’esplosione di colori, una scala appoggiata nel cielo, migliaia di fiori di campo appesi a ogni tua parola. Improvvisamente, non ero più sola. Non eravamo più soli. E, poi, sei arrivata tu, Milady, come regalo, ma siamo rimaste solo noi, alla fine. E tu, mamma, lo sapevi, vero?
Come ci arrivo a questa data di maggio? A questi quindici anni “senza mamma”? Ammaccata, sai? Non da ferma, però, ma sempre più orfana: di te, di Minou e di lui. Ci arrivo da Donna, più consapevole, di chi ero, di chi sono e di chi voglio e devo diventare per me stessa e per tutte le Emme del mio cuore. E, anche, per tutte le emme che verranno dopo di te, dopo di voi. Mi hai insegnato tante cose, che sono rimaste sempre con me.
[…]
E’ cosa di un momento: io sono la strada e lascio dietro di me il viandante che ero e la distanza e l’affanno e l’incertezza, e ogni cosa è dentro la mia strada. Questa, è una di quelle.
Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Tanti, troppi, sapessi. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare e, non solo, anche montagne. Mi sono presa un momento, fatto di anni, per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un’occhiata da dove ero venuta. Eppure, l’ho capito, eh già, posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito. Anche se, diciamocelo, questo nuovo anno e i miei “tanto attesi” cinquant’anni non me li aspettavo proprio così, eh…!
Mi torna in mente Edoardo Bennato ...”Seconda stella a destra, questo è il cammino.. e poi dritto fino al mattino!”
La vita dovrebbe avere più svincoli,
piazzole delle meraviglia,
strade della felicità senza uscita,
baci ai caselli
e nessun limite alle possibilità.
Ti voglio bene mamma, grazie per tutta questa strada e quella che farò, faremo ancora…
Tua Milly
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
World Cats 2022, la promessa mantenuta: l’esposizione internazionale felina torna a Genova, dopo due anni di pausa dettata dalla pandemia da Covid-19. Quattrocento gatti di tutte le razze insieme ai loro proprietari, provenienti da tutta Europa, sono arrivati all’Rds Stadium della Fiumara per disputare i Campionati Internazionali di Bellezza nelle giornate del 23 e 24 aprile. Un appuntamento gettonatissimo per gli amanti degli amici a quattro zampe, organizzato da World Cats e patrocinato dall’ANFI (Associazione Nazionale Felina Italiana).
Più di trenta le razze in esposizione: dai giganti americani Maine Coon ai norvegesi delle foreste, dai Ragdolls agli American Curl con le orecchie a ricciolo, dai Kurilian Bobtail con le code a pon-pon ai Bengal con il mantello leopardato. E, ancora, i Sacri di Birmania dai piedini guantati e gli occhi di zaffiro, i morbidi British Shortair e gli Sphinx, più noti come gatti nudi o senza pelo, i Persiani dal lungo mantello, i Blu di Russia anche conosciuti come i gatti degli zar, i Siamesi e gli Orientali/Esotici, poi i Certosini dal mantello blu, che devono il loro nome ai monasteri francesi Chartreux.
C’è un prima e un dopo. Poi, c’è un durante, quello che ti ritrovi ad attraversare, da sola, ma non da sola. Eppure, non come pensavo di arrivarci, in nome di quella “promessa”, a te. Chi ha mai fatto una statistica delle promesse non mantenute nel mondo? Nessuno, credo, ma sono sicuramente miliardi di miliardi. E alcune di quelle promesse non mantenute che fine hanno fatto? Ci sono arrivata in condizioni difficili, sei riuscito a lasciarmi senza parole e senza energie, dal 26 marzo, poi immobile dal 31, eppure ci eravamo promessi di partecipare, insieme, alla Mostra Felina con la nostra cucciola, First Milady Sguardi Dolci: il mio speciale regalo di compleanno.
E, allora, l’ho mantenuta, sai? Mi hai insegnato, a durissimo prezzo, che il tempo non lo decidiamo noi, rimandare si può, certo, ma alle volte, poi, è tardi. E, così, non per mettermi fretta, però la parola data andava, e va, mantenuta, entro questa vita. Entro questa data: 23 aprile 2022. Le promesse sono gli unici appuntamenti a cui non dovrei, e vorrei, mai mancare.
Mi sono ritrovata, per la prima volta in vita mia, lì, ad una mostra felina, tra tanta gente, estranea, nel perimetro di uno dei tanti ampi rings rettangolari dove soggiornare insieme ai propri gatti, accudendoli personalmente (e non lasciandoli “in vetrina”). Tra allevatori, che sono diventati amici, accompagnata da chi ha aiutato – Milady – a venire alla luce, Sonia Fenu, e sostenuta anche da chi non c’era, ma c’era: Martina PintusBoi, la mamma umana di Gomez, il suo papà. Non ero sola, eppure così orfana. A superare il controllo dei medici veterinari, l’esame e la valutazione dei Giudici di Gara, esperti che sono autorizzati dalla Fife (Federation International Féline), organizzazione mondiale alla quale aderisce l’ANFI.
Milady, che proprio sabato ha compiuto sei mesi, entrava, per la prima volta, insieme a me, in quel circuito di bellezza, competizione, di spaesamento, dopo aver perso “lo zio”, ma era come se ne avesse sempre fatto parte, nella sua compostezza, dolcezza, nei suoi “sguardi dolci”, nel suo cercarmi, continuamente e io, di riflesso, così attenta a proteggerla. Gare e competizioni che si sono tradotte nella valutazione estetica dei soggetti in base allo standard di razza. Gatti presentati ai giudici da esperti assistenti, gli stewards, che sapevano come tenerli in braccio, valorizzando le loro caratteristiche.
L’emozione di accompagnarla era tale e tanta che non ho saputo realizzare a cosa stessi andando incontro, se non alla fine. Ho incontrato il giudice Gianfranco Mantovani, negli occhi e attraverso la sua scrupolosa valutazione, ricca di apprezzamenti e di note di colore, e lì ho capito che non sarebbe stato un attimo qualsiasi, per Milady, per me. Per noi. Tu, ancora una volta, c’hai messo la zampino, eri con noi, eccome.
Milady si è aggiudicata la nomination per il BEST IN SHOW e una bellissima coccarda gialla a testimoniare la sua bellezza e tutte le altre qualità promettenti.
Dopo le selezioni, i migliori soggetti hanno sfilato per il Best in Show, la gara più emozionante, quella che porta alla votazione del gatto più bello di tutta l’esposizione. E’ lì, in quel tanto atteso momento, dove vengono spiegate le caratteristiche delle varie razze, raccontate sia la storia che le leggende legate ad ogni singola razza oltre alla distribuzione dei premi ai migliori soggetti qualificati nei due giorni.
E Milady? E’ arrivata in finale, ha “gareggiato” con i gatti più belli d’Italia e d’Europa, e ha dimostrato, ancora una volta, quanto la cura, l’amore, la bellezza, i legami che sono cresciuti con lei, possono fare la differenza. La sua nomination, dunque, va allo zio Pino, a te Presi, che l’hai voluta, amata e viziata fin da subito, per soli due mesi, dal suo arrivo, ma saresti stato così fiero di lei. Di noi. Ti saresti commosso, di nascosto, al riparo da tutto e tutti, ma oggi le mie lacrime, le mie emozioni, la mia gioia, mista al vuoto della tua assenza, facevano così rumore che sono arrivate a raggiungerti, ovunque tu sia: mare, vento, sole, capricci e sorrisi.
I ringraziamenti sono tanti, e a più persone. A Franco Ballari, che mi ha insegnato “al momento giusto” quel tocco magico in più sulla cura estetica, offrendomi qualche minuto del suo tempo, stimolandomi ad imparare, a Tatiana Motolese, alla sua disponibilità e fiducia, pur in quella telefonata ‘movimentata’, all’ultimo momento, a Sonia, che ha sfidato e vinto su se stessa per esserci e accompagnarmi, a Daniela, la cui voce e il cui sostegno mi accompagnano, da mesi, in questo mio percorso “in salita”, ai deliziosi addobbi sardi ‘salvavita’ di Marcella Flore, a chi ci ha offerto un passaggio sotto la pioggia, alla pazienza e gentilezza del mio amico Vittorio Santi, che è sempre “sul pezzo”, al bellissimo scatto di copertina di Francesco Spadafora, all’allevatrice piemontese, Franca, che ha saputo, con empatia e discrezione, incontrare i miei occhi e leggerci dentro tutte le lettere dell’alfabeto – anche quelle mute -, al sorriso e alla gioia di Maria, che ho incontrato sotto il diluvio, la sera, per donarle cibo per i gatti della sua oasi felina.
A Milady, soprattutto a lei, che si è meritata ogni emozione che mi ha fatto provare. A te, che sei la mia eredità vivente, una meravigliosa e promettente vita da crescere tra le mie mani. E, dulcis, anche a me, alla forza che ho dovuto far emergere per essere presente, il più possibile, tra lacrime, malinconia, debolezze e quel sorriso ‘finale’ che sei riuscita a strapparmi. Ci sono delusioni e ferite che ti scaraventano fuori dal corpo, dalla ragione, dal mondo, dall’universo, dalla vita. Poi arriva la forza. Non sai da dove, ma arriva. E ti risolleva.
Poi, ci sono le promesse…
I per sempre me li ricordo benissimo.
Sanno di cielo e promesse e occhi che ti guardano.
Forse il carattere è ciò che si forma in un tardo pomeriggio, quando la delusione ha riempito le nostre mani di specchi infranti, ore perdute e promesse mai avverate. Come quel tardo pomeriggio, del 26 marzo, in cui mi hai salutato, uscendo da casa, con la promessa di raggiungerci più tardi e…
Tu e le tue promesse, con te stesso e con me, andavate d’accordo, oh sì, anche se il ritmo non ha giocato a nostro favore nel tempo né, diciamo, alla fine… Eppure, quelle che potevi mantenere, beh, le hai sempre promesse per onorarle.
Però, io lo ricordo ancora quel modo che avevi di metter le tue promesse intorno alle mie, faceva, e fa, venir voglia di rimanere incastrati per sempre.
Ogni mattina, guardo l’orizzonte all’alba, e se il sole mantiene la sua promessa, mantengo la mia.
Questa è la mia. Questa è quella di Milady.
Per te, capitano, con tutto il nostro amore,
Milena e Milady
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Caro Presi, vi sono al mondo famiglie di ogni sorta, ma non vi è mai una famiglia uguale all’altra.
Noi eravamo unici perché ci siamo scelti, da subito.
Tredici anni di vite, insieme, porta a porta, ogni giorno, mondi condivisi, amici, famiglie, lavoro e affetti comuni. Emigrata, orfana di mamma, e tu hai riempito ogni vuoto e ricoperto tutti i ruoli possibili.
Un compagno, un amico, un maestro, una guida, un faro nella notte in mare aperto con l’onda lunga, lo zio perfetto dei nostri amori felini. Un confidente, l’esempio migliore di Uomo che io abbia mai avuto la fortuna di conoscere e amare. Che privilegio!
Ognuno di noi corre da solo verso l’amore,
da solo verso i sogni e le delusioni.
Ma se la famiglia – anche solo per un tratto – corre insieme,
tutto è più facile.
E adesso mi hai lasciata a correre da sola…ne sarò capace? Non lo so…
Mi ritrovo aggrappata all’abitudine come ad uno scoglio, quando invece dovrei staccarmi e tuffarmi in mare. E vivere. Una vita completamente senza di te (…).
Non ti ho mai visto arreso. Sempre pronto a cavalcare l’onda.
Non ho mai visto le onde arrendersi, anche per questo amo, amavamo il mare.
E tu? Sempre a vedere la luce nel buio. Sempre a vedere e a non voler vedere, ma era pur sempre la prospettiva di vita più affine a te, di fatto.
A te che mi ha permesso di conoscere e scoprire Genova, oltre il mio campo ristretto ai due vicoli di casa/lavoro.
A te che mi ha preso, sempre, per mano, dicendomi “andrà tutto bene, ci sono io. Siamo una famiglia!”
A te che mi ha donato il tuo mondo, i tuoi mondi, mi hai fatto scoprire la tua terra e il tuo mare, facendomi sempre sentire parte di essi, con tutte le tue sfaccettature e contraddizioni.
A te che, anche quando non capivi i miei sogni, promettevi di esserci, sempre, accanto a me, così com’eri.
Noi che, in questi ultimi difficili anni, siamo stati davvero l’uno la spalla dell’altro.
A te che mi hai fatto un regalo unico, a sorpresa, per i miei 50 anni: una nuova vita da crescere, insieme, lasciandomi, oggi, il compito di farlo da sola.
A te che sei caduto, sempre, in piedi, sognando. Come l’ultima volta che sei uscito da casa e non sei più tornato. E da dove? Nello stesso punto dei vicoli dove la mia vita genovese è iniziata quindici anni fa e tu, in gran stile, sei uscita dalla scena. Un caso? Le tue ultime parole, prima di uscire ” Vado a far due passi, mi accompagni o mi raggiungi dopo: sushi, stasera”? E ti ho raggiunto, sì, ma dove non potevi più sentire e vedere tutti i suoni e i colori del mondo (forse…), ma ho continuato a stringerti la mano sentendo la tua muoversi. Fino alla fine…
A te che mi hai fatto amare e “sentire” il mare, quello vero, mai da turista.
Sì, perché lo senti il rumore del mare,
quella voce riconoscibile che si infrange sulla riva.
Te la spiega in un attimo, la vita.
Poche persone sono capaci di venirti a cercare dove sei veramente. Per questo amo il suono delle onde. Loro sanno sempre dove sei.
Tu eri come le onde. Sapevi cercarmi dove ero veramente, e mi aiutavi, sempre, a trovarmi.
A te che, come me, amavi i bambini, gli animali, i viaggi e i sogni…
A te ,così sempre pubblico, ma gelosamente attaccato al tuo “viver lontano dai riflettori”.
Grazie Presi, grazie Pepè per l’immensità di un legame di cui non si può scrivere, ma solo vivere, per sentirsi davvero vivi, completi e migliori. Io, umilmente, ti regalo qualche getto d’inchiostro, in punta di piedi, solo per scrivere l’ultima lettera, ma non l’ultima. Ma, Presi, non potevo non scrivere di te, di noi, sebbene sia stato il racconto più difficile della mia vita…
Questo mi hai insegnato tu. Cos’è la famiglia.
Tutto questo sei tu e rimarrai tu.
Questo siamo Noi.
Mi chiedo, però, chi conforta il mare quando è in burrasca
e le sirene cercano un rifugio in qualche faro abbandonato.
Sopravviverti, non sarà affatto facile, lo sai?! Il corpo da una parte, il cuore da un’altra. Senza testa. In mezzo il vuoto. Ecco, la mancanza deve essere quella cosa qui.
Il vuoto non è vuoto. È pieno di rimpianti, amori finiti, lacrime, rabbia, paure, incubi, tramonti bruciati, follia, confusione, discussioni inutili, di cose dette non dette, scritte e non scritte, ansia e braccia tese aggrappate a un amore che non c’è più.
Chissà di cosa è fatto questo vuoto per essere così denso?!
Adesso, vestiti di cielo e stupore.
Ti porto al mare.
Buon vento capitano del mio cuore, nuota libero da tutto e tutti e fai tanta strada, ancora, oltre ogni confine…
Con immenso amore,
Milena, Minou e Milady
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Tempo di…
Tempo nella perdita.
Tempo per recuperare.
Tempo di traguardi.
Tempo di bilancio.
Tempo per ricevere.
Tempo di regali.
Tempo di notizie.
Tempo di uragani.
Tempo di compleanni.
Quanta vita, e morte, scorre nel tempo?
Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più.
Il tempo non va misurato in ore e minuti, ma in trasformazioni. Non a caso, nella teoria della relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo.
Una volta a Stephen Hawking chiesero: “C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo?” Rispose: “Man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente”.
Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.
Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo. Io – confesso – ho capito più cose in questi ultimi quattro mesi che in cinquanta anni di vita.
Le ho capite in ritardo, sì, e pagando un duro prezzo. Perdendo dei pezzi per strada, acquisendone altri, di consapevolezza, e la strada è ancora in salita, sono sempre più “nelle curve”, sulle montagne russe nel cuore.
E’ passato un anno, dalla prima pagina di questo blog e del canale social. Nato in due, dalla mia voglia di mettermi in discussione, a tutto tondo, nel lavoro così come nel privato. Le due viaggiatrici nomade, zingare e solitarie il cui nome inizia per Emme: Milena e Minou.
Dieci mesi di me, di noi, a raccontare storie, viaggi, curiosità e spremute di cuore in cerca di altri viaggiatori, lettori e innamorati della vita come eravamo noi. Così rimaniamo, anche nel tempo.
Poi, mi sono ritrovata sola, senza la emme del mio cuore: Minou.
Un anno pieno di vita, di dolore nella perdita, di sfida a guardare in alto e in avanti, lottando col tempo. Poi, ti ritrovi sola ad imparare la ruota del mondo! E ti trilla nella mente e nel cuore la stessa domanda:” Perché deve continuamente girare al contrario? Dove si trova la retromarcia?”
Ecco, potendo, azionerei la retromarcia per fermare il tempo: prima di aprile, ottobre e dicembre. Mesi di macigni sul cuore, continui tsunami che non ne vogliono sapere di concedermi una “sana tregua”.
Ma, si sa, nella corsia del tempo non si può sorpassare né fare inversioni a U. Bisogna “stare” nel tempo.
Non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi, ma è in quegli spazi che il dolore picchia più forte quando si sente la mancanza di una persona, la paura di una notizia che ti cambia la vita, o ti rimette a nudo, quando già stavi cercando di riprenderti.
Oggi il tempo è passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi, nel mio diverso modo di scrivere e vivere. L’unico posto dove non è passato è in quella nuvola lassù nel tramonto, che mi chiama allo stesso di quattordici anni fa, quando sei arrivata tu, Minou, ma che ora si affaccia al mio cuore, in casa mia, con un’altra Emme.
E da due, poi una, ecco che torniamo ad essere tre, su queste pagine, nel mio cuore, nella mia vita.
Ti ho visto appena nata, avevi pochi giorni di vita, e i miei occhi ti hanno “scelta”, ma il mio cuore non era libero. Non lo è neppure oggi, ma sto facendo spazio. Quanti legami di cuore, sensibili e comprensivi, mi hanno portato a te e a chi ti ha allevato con tanto amore e dedizione: Sonia Fenu. Quanti mi hanno sostenuta, spronata ad aprirmi ad accogliere una nuova vita, ma io ancora troppo “ferita” per provare ad amare, a farmi amare.
Tutto è partito da Pier Luigi e Cristina, per passare da Sarina e, per finire, a Sonia: incontri significativi che hanno saputo lenire, un pochino, giorno dopo giorno, il rumore molesto del mio cuore. Sonia mi ha reso partecipe, ogni giorno, mattina e sera, della vita delle sue creature magiche, quali sono i gatti, dell’ultima cucciolata. Un racconto di bordo, giornaliero, dalla mia isola del cuore, la Sardegna, fin dentro casa mia, in Liguria.
Poi, sono entrata io in casa loro, alla scoperta della vita quotidiana e familiare di Sguardi Dolci Cattery , e sono stati tre giorni veloci, intensi, di emozioni conflittuali, di amore e di paura d’amare. Non avevo mai toccato con mano, così da vicino, la vita di un allevatore, non avevo mai visto tutto l’impegno, di energie ed economico, l’amore, la dedizione, le cure, le ansie, e le gioie di cui è fatta la vita, dal suo primo affaccio alla vita. Gli occhietti, da chiusi ad aperti, i primi passi, la tenerezza dei cuccioli e con la mamma, i video, l’attesa di quelle immagini che diventavano sempre più familiari, la vita che cresceva di pari passo con quella di chi, dall’altra parte, li osservava ‘a distanza’. Ho vissuto la loro evoluzione, ogni giorno, e sono cresciuta con loro. Anche il mio dolore si è nutrito di tutta quella vita.
Sono stati tre mesi d’amore, di coccole, di respiro, di rifugio, di cose da imparare, di vita imparata, di “cose da sapere”, e che non sapevo. Dietro alla selezione della razza, c’è tanto amore, tanta passione e voglia di vita, da donare più che da “vendere”. Dietro ad ognuno di quei cuccioli dagli “sguardi dolci” c’è tutta la passione che la vita e l’amore richiedono. A me, quei giorni, questi tre mesi, spesso, hanno salvato da quel buco nero, del lutto, che non se n’è andato, non se ne andrà mai, ma oggi posso dire che una sferzata di aria di primavera, profumata, soffice e invadente, è entrata nel mio “gelido” inverno, nel mese più freddo dell’anno, quello del mio compleanno: gennaio.
Il 16 gennaio è stato un tempo speciale, una data sul calendario che non scorderò mai, al tempo della Covid-19, ancora distanziati, un tempo di miei compleanni: un anno del mio blog, e i primi 50 anni di vita. E, non sono mancate le sorprese, ma lo avrei scoperto più tardi.
Il 29 gennaio sei arrivata tu, dopo un lunghissimo viaggio, viaggiando in aereo, in pullman, in treno e, per finire, in taxi in direzione della tua nuova casa, delle tue nuove case: mia e dello zio. Solo ora, diciamo, riesco a trovare il “tempo giusto” per scriverne.
E il triangolo magico, ancora una volta, è scandito dalle Emme. Emme come Milady. E’ passata una settimana, sei arrivata nel bel mezzo di un uragano, lo stesso che avevo già sperimentato quando arrivò la tua sorellina: Minou.
Sei arrivata tu, da lontano, ci stiamo conoscendo, ci siamo scelte? Forse. Ci stiamo misurando, credo, da dove partiamo. Ma oggi, posso dirlo, sei un centrifugato di tenerezza, dolcezza, intelligenza, un terremoto vivo di vita, però. La casa in disordine, ma più “accesa”. Hai stravolto i miei ritmi, le mie abitudini, tre mesi dopo. Sei una creatura speciale che non si spegne neppure mentre dorme, esattamente come chi scrive. Sei sensibile e timorosa. Sei rumorosa, ma non t’imponi sulla scena, un po’ come chi ti ha accolto in casa. Assomigli così tanto alla tua “sorellina” e a me. Oggi posso presentarti per come sei: il mio regalo di compleanno, dei miei primi 50 anni. E chi c’ha messo lo zampino se non lo zio?!
Hai portato nuova vita, faremo un po’ di strada insieme, per quanto tempo? Non lo so, a lungo, magari, ma oggi è un altro tempo. Il nostro tempo, insieme, ad imparare ad amarci da zingare. E, come mi ha scritto Sarina: “la gattina farà il suo mestiere e troverà la porta da sola, tu imponiti solo di accudirla. Non devi metterci il cuore o la testa. Solo le mani e il respiro. Perché lei farà il resto”. Queste parole sono state il mio balsamo, in quel profondo giorno di “spaesamento”.
Sarebbe bello riuscire a riempire almeno un giorno. Riempirlo di opere e brividi e dettagli, senza lasciare fuori neanche un minuto o un secondo. Chissà come tremerebbe il tempo a vederci così forti.
Forse, il tempo è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono, ma per coloro che amano il tempo è eternità. L’amore non può essere congelato nel freezer del lutto, l’amore può e deve continuare, in modo diverso, con chi arriva nella tua vita, accanto a chi se ne va.
Il paradosso del donare il proprio tempo e amore ad un altro: regali un pezzo della tua vita che non sarà più tuo,
ma che proprio per questo non andrà perduto.
E’ questo che ho imparato da Minou, dallo zio, da Sonia, da Milady, che sto imparando da me in questo viaggio in “solitaria” abbracciando chi arriva.
E tante altre “presenze d’amore” mi hanno portata fin qui. Una sorta di famiglia allargata nata dal ritrovarsi, ancora una volta, orfana. Alcuni sapranno riconoscersi in questo racconto…
Nankurunaisa.
Credo sia una delle parole più belle del mondo.
E’ giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”.
Il tempo, a volte, sembra che non passi, è come una rondine che fa il nido sulla grondaia, esce ed entra, va e viene, ma sempre sotto i nostri occhi.
Il tempo si muove in una direzione, i ricordi in un’altra.
Benvenuta First Milady Sguardi Dolci, in questo nuovo viaggio insieme. Milady, questo è il nome che, alla fine, ho scelto per te, in con-divisione, e sei un po’ come la rondine che annuncia la primavera “dentro casa”. Una nuova direzione che, allo stesso tempo, cavalca l’onda dei ricordi. Il tempo è un assassino e porta via con sé ogni nostro secondo. E ha sempre un alibi. Lui non c’era dove eravamo noi, esisteva in qualche altro luogo.
Oggi, in questo tempo, però, TU sei il mio regalo del cuore in questo mezzo secolo di vita, in mare aperto e con l’onda lunga, ma scriveremo altre pagine, un anno dopo. Insieme. Ci stai?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Minou…quello che mi manca di te sono io quando stavo con te. Sei riuscita a lasciarmi senza parole. Muta, con un dolore sordo, al petto. Mi sono sempre immaginata come sarebbe stata la mia vita senza di te e, alla fine, mi ci hai messo di fronte, davvero, alla tua morte. Le parole non scivolano, neppure in questo momento, ma sento di dovercele, oggi, un mese dopo.
Sei stata un grande esempio, il migliore, l’unica coinquilina possibile: adottarti, amarti, e prendermi cura di te, un privilegio. Mi hai insegnato, come solo tu potevi riuscirci, l’amore incondizionato, come ci si dedica, rinunciando anche alla libertà che tanto amo. Sono stati mesi difficili, questi ultimi, ma è valsa la pena ogni scambio d’amore, ogni cura “della speranza”, ogni paura del distacco, ogni sofferenza da abbandono, se penso alla vita da regine su e giù per l’Italia che abbiamo con-diviso fino a poco fa: zingare, sempre in movimento, sempre insieme, amata e fotografata da tutto il mondo. Eri tutto tranne che una gatta da appartamento. Ti sei abituata, subito, a vivere cavalcando la mia onda lunga.
Hai riempito la mia vita, senza annoiarla mai, anzi. Mi hai tenuto compagnia quando il mio mondo, dentro e fuori, era un incendio. Sei arrivata con la responsabilità di colmare un pesante vuoto materno e ci siamo scelte, da subito. Ci siamo investite di tutti i ruoli affettivi possibili. Hai dato un senso al mio continuare a vivere a Genova in anni dove, come dire, solo una spavalda e testarda come me poteva insistere in terra ligure, matrigna, ostile, ma così sfidante, al tempo stesso. Quanto daimoku hai respirato, accanto a me, quanta Buddità in ogni tuo gesto…
L’inizio è dolce, assurdo, felice. L’intreccio pieno di buona volontà, forte e carico di tensioni emotive. La fine, una lacerazione. Per un po’ (…) continuerò a urlare il tuo nome a me stessa, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà – dicono. Non lo so, ma non voglio viverti solo nel dolore dell’assenza. Hai deciso tu quando scegliere di andar via, esattamente come quando hai scelto di entrare nella mia vita, avanzando sulle mie gambe per dimostrarmi che mi avevi scelto. Non mi ero mai sentita così “scelta”, prima di allora. Cose che nascono, e non l’avresti mai detto. Altre, poi, che finiscono, e non l’avresti mai neppure immaginato facesse così male.
Un grande immenso amore “che si è spento”, ma solo fisicamente, di morte naturale, nella mia terra, a 180 all’ora, in movimento, come abbiamo sempre vissuto noi, e su quelle stesse gambe dalle quali sei arrivata dritta come un fuso a soli due mesi, con lo sguardo rivolto a noi. Eravamo insieme, come siamo stati in tutti questi anni, con lo zio. Noi tre. E, poi, hai trovato il modo davvero “mistico” di lasciarmi traccia di te, oltre le ceneri: la tua vertebra dorsale, ancora intatta (?…), e a forma di cuore, quasi a rincuorarmi “ehi, io sono ancora qui, ti sostengo sempre, in un altro modo, ma continuerò a farlo” e lo hai ribadito con “un pezzo di te”, di quel corpicino diventato così esile in pochi mesi, come se sentissi che mi servisse quella urgente rassicurazione di continuità.
Le parole, da quel lunedì nero 11 ottobre, se ne stanno zitte sulla soglia a un passo da te che resti fuori, e io non so come chiamarti e chiederti di tornare indietro. E’ così che nascono gli addii?
A partire da quel momento – da quel THE END – non so più chi fu a scrivere il libretto della nostra storia, però mi piacerebbe scoprirlo per dargli quel che si merita. Non riusciamo mai a capire davvero cosa ci fa innamorare di qualcuno, ma uno sguardo, una parola, un sorriso di colpo ci cambiano la vita e non torniamo più a essere quelli che eravamo.
Come abbiamo fatto a passare gli ultimi quasi 14 anni senza smettere mai di amarci e imparando sempre dall’altra? Come ha fatto, improvvisamente, la somma di tutta la presenza a trasformarsi in assenza?
Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito del dolore disperato e della fatica dell’esistere e del desiderare. Del sopravvivere.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. E’ così che finiscono gli amori “fisici”. Le labbra si stancano, i respiri si placano, i battiti diminuiscono, gli orizzonti si restringono. Senti solo il peso delle cose non fatte, e ti scordi di quelle vissute. E dal soffitto le domande ti guardano e non cercano neanche più risposta. Mi hai detto addio, sei sparita dietro le “montagne”, in piena pianura padana, ma posso alzarmi in piedi sul mio cuore per vederti ancora. Gli occhi che guardavano altrove, l’orologio che faceva il giro del polso e la luce che cominciava a tremare. A volte gli addii (2008-2021) possono essere insostenibili, sai?
O, forse, mi stavi preparando, e insegnando, a ricominciare dall’inizio ogni giorno? Dirci addio e perderci di vista. E poi subito cercarci e ritrovarci. Bisognerebbe vivere soltanto di inizi. Come due sconosciuti, che si hanno senza aversi mai del tutto.
Non sarà mai più la stessa cosa, senza di te, senza il tuo essere così esuberantemente femmina, geisha, intrigante, sempre attenta, sensibile e permalosa, viziata ma sempre così troppo adulta ed educata, fragile eppure forte per due, dolcissima e ingenua, alle volte. L’altra me, in tutto. Tu, sì, che solo guardandomi parlavi tutte le lettere dell’alfabeto. Un linguaggio – il nostro – fatto di gesti, di fisicità, quella che non tornerà più e di silenzi, quelli in compagnia dei quali mi hai lasciato, a litigare dentro di me. Ci devo proprio passare attraverso, eh già! Chi arriverà, dopo di te, non lo so ma, una cosa è certa, l’amore passionale e travolgente che ci ha “legate” in modo così simbiotico non sarà mai ripetibile, sarà diverso, un altro amore (?!). E’ stato un vero privilegio esser scelta a farti da mamma.
Trovo impronte di te ovunque, in casa, quella di Genova e poi a Modena, quando riuscirò a rimetterci piedi (…), fuori, in auto, dove abbiamo viaggiato insieme, appena un mese fa, quando ti hanno dimesso dal Pronto Soccorso modenese e mi illudevo ti avrei guarita, ancora una volta, come era già successo.
La morte per me è di difficile accettazione, ma tu lo sai bene, eh? Sei arrivata nove mesi dopo un altro durissimo abbandono, quello di mia mamma, e tu hai riempito ogni centimetro del mio cuore, della mia vita, degli spazi di casa con la tua ingombrante presenza d’amore. E’ difficile non cercarti, non percepire ancora il tuo sguardo, il tuo profumo di borotalco, i tuoi adorabili capricci, gli innumerevoli vizi dello zio ai quali mi sono sempre arresa. Trovo te in ogni dove e la tua “presenza” è davvero senza tempo e senza spazio.
Per mare, in cielo, in terra, su due e quattro ruote… quante storie, quanti viaggi, quante case, quante città, quante emozioni, quanto amore abbiamo respirato e quanto donato… Quante vite abbiamo vissuto in una, quante emozioni allo stato puro, e l’adrenalina della nostra prima, e unica, vacanza in barca a vela di 30 giorni nella nostra amata isola: la Sardegna, la Maddalena. Siamo riuscite a convincere lo skipper amico a veleggiare con a bordo una gatta anche se, di fatto, ti faceva sempre un po’ di paura. Tante vite in una, ma chi se le scorda? Sarà tutto diverso, anche ritornarci, da sola, senza di te…
C’è un momento in cui dal cuore qualcosa si stacca e cade. Lo riconosci subito. Non fa nessun rumore, apparentemente, ma il sangue gela e il cielo scappa da un’altra parte. E, come tredici anni fa, c’era sempre qualcuno accanto a me, a tenermi la mano, ad abbracciarmi, a con-dividere con me, con noi il peso di quel dolore ingombrante, di un vuoto improvviso e lacerante, a cercarmi laddove mi ero persa “dentro”. Lei, l’altra emme biologica del mio cuore. E lui, la nostra famiglia d’adozione. Abbiamo il cuore a sinistra e non al centro del petto per un semplice motivo: quando abbracciamo chi amiamo, il battito del loro cuore riempie il nostro lato vuoto. Ti ho stretta a me fino all’ultimo istante. Addosso a me, nella scatola di carta nella quale ti hanno adagiata, con quell’espressione, improvvisamente serena, propria di chi, indiscussa lottatrice nella vita, sceglie il meritato riposo, con al collo una piccola rosa del roseto di mamma per mano dello zio. Il culmine del mio vuoto l’ho raggiunto arrampicandomi su una cima che non esiste.
Il vuoto non è quello spazio dove cadi, ma quel tempo dove resti. Ad aspettare chi vorresti accanto.
Sei scivolata via troppo presto, da vecchietta, eppure, senza mai invecchiare, aggrappata a me, ascoltando, per tutto il tempo, quel mantra così familiare e al cui ritmo ti eri abituata a convivere: nam myoho renge kyo. Mi hai lasciato una specie di marchio, come se la mia pelle fosse quella di una vacca, una di quelle a cui hanno stampato una lettera sulla natica con un ferro rovente. La emme, la mia iniziale del cuore preferita, nel mio caso, indelebile e intima perché la riconosco solo io, ma c’è.
Emme come Minou, eri davvero l’aristocratica degli Aristogatti, che poi, dal 22 ottobre, il tuo nome ha preso la forma di un pigmento nero che rimarrà per tutta la vita sulla mia caviglia insieme alle impronte delle tue zampine, sì, perché il viaggio non si ferma. Continua…
Alle volte, come adesso, cerco di rimuovere tutto, di fuggire, di chiudermi in un mondo che costruisco come una storia d’avventura. E così continuo a essere divisa tra una realtà che non accetto e una trama che risulta sempre incompiuta. Per il resto non so. Non so che avventura mi aspetta, sai? Mi piace pensare che qualcosa accadrà, consapevole, da buddista, che tutto parte da me, ma forse è solo l’ennesima trama che sto costruendomi per prendere scorciatoie sul dolore vivo, per addolcire, piano piano, la mia cicatrice.
Dovrei lasciare, invece, che quella storia divenga davvero una cicatrice. Le cicatrici possono essere molto utili. E anche molto belle, affascinanti. E’ bello scorrere con le dita su un segno sottile e col pensiero su una traccia nell’anima. Con le cicatrici non ci si convive. Bisogna farne vanto, come i nobili tedeschi che ostentavano la mensur, la cicatrice dei duelli studenteschi, o i guerrieri che le mostrano con onore.
Mi ripeto:
“Fermati.
Respira.
Vai fino in fondo, stavolta!
Agisci!”
Il mio scoglio è la perdita, la separazione da chi si ama, l’abbandono, la morte. Penso davvero che per me sia impossibile adattarmi a questo vivere. Sento il richiamo di una foresta, una montagna, un deserto, un mare, un’avventura, di tutti quei momenti in cui metti in gioco solo il tuo corpo. Mi chiedo che cosa fare quando non sono da qualche parte nel mondo dove posso osservare senza intervenire. Il wu wei lo chiamano i cinesi questo atteggiamento mentale. E’ un concetto taoista molto sottile e interessante.
E’ la comunicazione, come l’energia, come il senso della storia: non segue una linea consequenziale rigorosa. E’ caotica, puro Caos, davvero. E questo non sono io a dirlo. A me piace pensarci, riflettere sul caos, sull’indeterminazione, sui nessi non causali ma casuali, sui principi stocastici. L’astrazione ci salverà. E’ la stessa che osservi in una foresta, in un deserto, in pieno mare o montagna, quando guardi scorrere le nubi, il movimento degli insetti, il cambiamento di colore su una foglia.
Un susseguirsi di cose, eventi, sensazioni, comparse che richiederebbero una scelta o una decisione, mentre io, qualche volta – come questa, orfana e smarrita, spero che le cose accadano. Forse, non mi resta che la scelta di non scegliere, la decisione di attendere. Darmi tempo, fare spazio, non accelerare, rallentare, imparare ad amarti, ed amarmi, cercandoti altrove, annusando il tuo odore, che è rimasto, qui, con me. Il Buddismo è azione….vincere o perdere. Voglio vincere. Voglio tornare a sor-ridere. Voglio trasformare la mia sofferenza in un blocco di creta con il quale giocare e trasformare in belle forme. Voglio strappare la bellezza, ovunque essa sia, e regalartela. Sei sempre stata l’altra me, e la conferma è inequivocabile, adesso.
Non ho mai diviso la mia libertà e i miei spazi, così a stretto gomito, con nessuno, sin da quando ero piccola, ribelle quale ero e sono rimasta. Poi, sei arrivata tu e… hai cambiato la mia vita. In meglio. Hai infranto tutte le mie regole, insegnandomi ad essere meno assolutizzante. Sei stata la parte migliore di me, lo sei, ancora. Lo rimarrai. Sempre.
Chi ti ama conosce le pagine dei libri che hai sottolineato, il tuo modo di ridere di nascosto, le canzoni che vorresti ballare lentamente sotto la pioggia. Chi ti ama ti prende la mano e ti conduce negli angoli più bui di te e ti mostra che non c’è nulla di cui aver paura.
Mai nessuno è tradito dall’amore puro.
E, detta alla Battisti…
Nei tuoi occhi
Innocenti
Posso ancora ritrovare
Il profumo di un amore puro
Puro come il tuo amor.
“Che cos’è quella sensazione quando ci si allontana dalle persone e loro restano sulla pianura finché le si vede appena come macchioline che si disperdono? È il mondo troppo vasto che ci sovrasta, ed è l’addio. Siamo sicuri? Eppure, devo iniziare a puntare avanti verso la prossima pazzesca avventura sotto i cieli”. Quella sensazione, tal quale, che ritrovo, ironia della sorte, quasi a dimenticarmene, nelle parole del grande viaggiatore Jack Kerouac. Quella strada in cui, ora, suona il silenzio, la stessa strada condannata a non esistere…
E, ancora, come scrive il mio maestro, Daisaku Ikeda, “Ogni cosa ha un inizio, passa attraverso tappe intermedie e arriva a una fine. La fine di una cosa significa l’inizio di un’altra. E’ necessaria una risoluta decisione per ripartire. E’ necessaria la luminosa fiamma dell’impegno e un voto appassionato”. (La nuova rivoluzione umana, Vol.30, p.71, Esperia).
La nostra storia non finisce qui, scriverò pagine di noi, racconti, romanzi, staremo insieme ancora, e ancora: te lo prometto “tubicina”. Il dolore non può togliermi anche la scrittura, non a lungo. La mia storia, da adesso in poi, non può essere di fogli bianchi. Tu non lo vorresti mai, lo so…anche se non ho mai capito quanto, e se, ti piacesse essere così sfacciatamente più social di me. Forse, il meglio di noi ha origine dal peggio di noi. Non è necessariamente un male. Ma è qualcosa che, forse, farei bene a mettere in conto.
L’ultimo gettito d’inchiostro per te è del 7 ottobre, davanti ad un tramonto da togliere il fiato sulle alture di Genova. Noi due, su due ruote, a sperimentare anche l’agopuntura come via alternativa a quella che speravo fosse “la cura” e scrivevo: “Non smetterò mai di sognare, avrò forza per vincere, coraggio per non mollare, pazienza per persistere”#minouandi
Quanto amore, bellezza, calore e vicinanza ha richiamato la “nostra” scomparsa: tu dalla mia vita, e io isolata nella mia tana fuori dal mondo. Nuove splendide amicizie cosmopolite, nate “davvero” e cresciute dal dolore di te, e dalla passione felina, ma verso le quali mi hai “traghettato” tu, per non lasciarmi annegare. Altre che ho lasciato andare, così, semplicemente. imparando ad osservare la mia nuova realtà ad occhi aperti. Un amore infinito, che non si può scrivere, ma solo vivere, in silenzio. Però, oggi, mi ripeto le stesse parole, quasi a darmi quella forza che mi merito, che meriti io faccia emergere.
Non smetterò mai di sognare, avrò forza per vincere, coraggio per non mollare, pazienza per persistere#minouandi
Qual è il modo più importante di ricordarti? E’ essere la persona che tu mi hai reso, almeno in parte, e vivere la vita che tu hai contribuito a plasmare. Essere la persona che tu hai contribuito a formare e vivere la vita che tu hai contribuito a modellare non sono solo il modo in cui posso ricordarti: sono il modo in cui devo onorarti. Credo.
Mi manchi tantissimo, ma corri felice e libera… e portami sempre con te. Tra tutte le foglie dell’autunno saprò riconoscere l’unica che, invece di cadere, ha provato a volare. E me ne innamorerò ogni volta.
La tua assenza ha lasciato un vuoto che riempie tutto lo spazio del mio cuore. A distanza di un mese, temo davvero tanto il vuoto, non le catene, non il dolore, sai? La pura essenza del nulla che ti strangola dall’interno e non ti uccide mai. Che coraggio ha la speranza. Va a parlare con i sogni, con l’altrove e con le attese.
Però, va detto, mi sento una campionessa mondiale di vuoto sincronizzato. Hai presente come quando salti alle conclusioni e quelle si spostano, lasciandoti cadere nel vuoto? In quale tempo mi sono ritrovata oggi, in quale epoca? E perché questo sentore di tempesta e di vuoto non corrisponde al cielo azzurro che avevamo attorno?
Buon vento, amore mio. Questo siamo state noi. Siamo. Continueremo ad essere, per sempre.
Con tutto il mio cuore,
la tua mamma.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…